di William Shakespeare
Voto: 8/10
Che l’amore è forse una cosa dilicata? direi piuttosto che sia troppo rude e troppo aspra, e infine troppo violenta: e punge come uno spino.
Romeo
Romeo, ad una festa, incontra Giulietta, e se ne innamora. La fanciulla ricambia, però i due giovani appartengono a due famiglie da sempre in lotta tra loro. E così nasce una leggenda.
A febbraio andrò a vedere a teatro quella che è, credo, la tragedia più famosa del Bardo, così ho pensato di rinfrescarmi la memoria rileggendola ora. Ancora una volta sono rimasta stupida dall’incredibile giovane età di Giulietta: non ha ancora compiuto quattordici anni!
A parte questo, ricordavo la trama a grandi linee, ma, inutile dirlo, leggere Shakespeare è sempre un piacere! Non è la mia preferita questa tragedia, anzi, in confronto alle altre che ho letto più di recente (Antonio e Cleopatra, Giulio Cesare, Macbeth, Amleto…) m’è piaciuta anche di meno… ma come si fa a non rimanere comunque affascinati da questo amore straordinario, esagerato e sfortunato, così sapientemente descritto?
E stavolta, contrariamente al mio solito, non devo più struggermi troppo dal desiderio di vedere la tragedia rappresentata, perché so già che lo farò, anche se manca ancora un po’ di tempo! :) Anzi, devo ammettere che alcune scene le ho lette proprio con in mente l’idea di vederle rappresentate, chiedendomi con curiosità con quale intonazione gli attori pronunceranno le battute più famose, o che emozioni sapranno trasmettermi… non vedo l’ora!!!!!!
Love kills oppure L’amore uccide. Parecchio.
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Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da me. L’ho scelto perché mi sembrava abbastanza romantico, e poi anche perché la rosa è protagonista del monologo più famoso di questa tragedia! |
Titolo: Romeo e Giulietta
Titolo originale: The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet
Genere: teatro, tragedia
Autore: William Shakespeare
Nazionalità: britannica
Prima pubblicazione: 1599
Casa Editrice: Club degli Editori
Traduzione: Gabriele Baldini
Pagine: 120
Sfide
Trasposizioni
Un po’ di frasi
Due famiglie,nobili del pari, nella bella Verona, ov’è la scena, per antica rivalità, rompono in una nuova lite, e il sangue dei cittadini imbratta le mani dei cittadini.
[coro nell’incipit]
Chi è quella fanciulla che arricchisce del suo tocco la mano di quel cavaliere?
Oh, ch’ella insegna davvero alle torce a splendere di viva luce! par ch’ella penda dalle gote della notte, come un prezioso gioiello dall’orecchio di una etìope. È una bellezza di troppo valore perché se ne possa far qualche uso, e troppo preziosa per questa terra! tal si offrirebbe alla vista una nivea colomba in mezzo a un branco di corvi, quale quella giovane si mostra in mezzo alle sue compagne. Come sia finita la danza, vorrò osservare dov’ella si ritragga e, toccando la sua, benedirò di felicità la mia mano rude. Il mio cuore ha forse mai amato, fino a questo giorno? sbugiàrdalo, o vista! perché non ho mai veduto, prima di stanotte, la vera bellezza.
Romeo
Romeo: S’io profano della mia mano indegna codesta santa reliquia, il peccato è soltanto gentile, e le mie labbra, due pellegrini compresi di pudìco rossore, son qui pronte a render più molle, per un tenero bacio, il ruvido loro tocco.
Giulietta: Buon pellegrino, usi torto alla tua mano, la quale ebbe pure a dimostrare la devozione che le si conviene: perché fino i santi hanno mani che anche le mani de’ pellegrini posson toccare, e il bacio dei palmieri consiste per l’appunto nel giunger palma a palma.
Romeo: E non han forse labbra anche i santi? e non le hanno anche i devoti palmieri?
Giulietta: Sì, o pellegrino, ma son labbra che essi debbono usare nella preghiera.
Romeo: E allora, o santa diletta, le labbra faccian l’eguale che le mani: ecco, esse ti pregano, e tu l’esaudisci, per tema che la fede non si cangi in disperazione!
Giulietta: I santi non si muovono davvero, anche se esaudiscono le preci che loro son rivolte.
Romeo: E quindi non ti muovere per tutt’il tempo in che raccolgo il frutto della mia preghiera. Ecco, dalle mie labbra, col mezzo delle tue, è tolto il mio peccato. [La bacia]
Giulietta: E così, il peccato ch’esse han tolto alle tue si trova ora sulle mie labbra.
Romeo: Il peccato s’è involato dalle mie labbra? oh, colpa cui vien mosso un gentile rimprovero! restituisci il mio peccato.
Giulietta: Baci secondo le regole.
Sol colui che non ha mai sofferta ferita alcuna si ride delle cicatrici.
Romeo
Romeo: Ma zitto! qual luce rompe laggiù da quella finestra? Quello è l’oriente, e Giulietta è il sole!… Sorgi, bel sole, e uccidi l’invidiosa luna, che già inferma e impallidisce di dolore, perché tu, che sei soltanto una sua ancella, sei tanto più bella di lei. Licenziati dal suo servizio, dal momento ch’ella t’invidia tanto: la sua livrea di vestale è d’un verde color malato, e non l’indossano più altro che i dissennati. Gettala via! […] Ve’, com’ella posa la sua gota sulla mano! Oh, s’io fossi un guanto su quella mano, così che mi fosse concesso di toccar quella gota!
Giulietta: […] O Romeo, Romeo! perché sei Romeo? rinnega il padre tuo e rifiuta il tuo proprio nome. Ovvero, se proprio non vuoi, fa’ soltanto di legarmi a te con un giuramento d’amore, ed io non sarò più una Capuleti.
Romeo: [A parte] Debbo continuare ad ascoltare, o debbo rispondere a quel che ha detto?
Giulietta: È soltanto il tuo nome ad essermi nemico: tu saresti sempre te stesso, anche se non fossi un Montecchi. Che può mai significar la parola “Montecchi”? non è una mano, non un piede, non un braccio, né un volto né alcuna altra parte che s’appartenga a un uomo. Oh, sii qualche altro nome! Che cosa c’è in un nome? quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo. E così Romeo, pur se non fosse chiamato più Romeo, serberebbe pur sempre quella cara perfezione ch’egli possiede tuttavia senza quel nome. Rinunzia dunque al tuo nome, Romeo, e in cambio di quello, che pur non è alcuna parte di te, accogli tutta me stessa.
Romeo: Ti prendo in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato. D’ora in avanti non sarò più Romeo.
Giulietta: E qual uomo sei tu, che così celato dalla notte, inciampi a questo modo nei miei segreti?
Romeo: Non saprei dirti ch’io sia, col mezzo d’un nome. Ché il mio nome, o diletta santa, è invido a me stesso, poiché a te è nemico. E lacererei pur il foglio dove lo trovassi scritto.
Giulietta: Le mie parole non hanno ancora bevuto un centinaio di parole pronunziate dalla tua lingua, eppure riconosco la tua voce: non sei tu forse Romeo, e un de’ Montecchi?
Romeo: Non sono né l’uno né l’altro, fanciulla, se l’uno e l’altro a te dispiaccia.
Giulietta: E come sei venuto fin qui? suvvia, dimmi come e perché. Le mura del giardino son alte e difficili da scalare, e il luogo, se si consideri chi tu sei, può valer per te la morte, ove alcuno della mia famiglia ti discopra.
Romeo: Ho superate quelle mura con l’ali leggere dell’amore, poiché non v’è ostacolo di pietra che possa arrestare il passo dell’amore, e tutto quel che amore può fare, subito trova il coraggio di tentarlo: son queste le ragioni per cui i tuoi famigliari non possono fermarmi.
Giulietta: Se ti vedranno ti uccideranno.
Romeo: Ahimè, che s’ascondono più pericoli nel tuo occhio che non in venti delle loro spade. Sarà sufficiente che tu mi guardi con dolcezza ed eccomi difeso a tutta prova contro la loro inimicizia.
Giulietta: Non vorrei, per tutto il mondo, che ti sorprendessero in questo luogo.
Romeo: Ho il mantello della notte per celarmi agli occhi loro. Se tu m’ami, non mi importa ch’essi mi scoprano. Sarebbe meglio che la mia vita fosse troncata dal loro odio, anziché la mia morte prorogata, ma senza che potessi godere l’amor tuo.
Giulietta: E chi ha saputo guidarti fin qui?
Romeo: È stato Amore, che per primo ha guidato i miei passi. M’ha prestato il suo consiglio ed io gli ho prestato gli occhi. Non sono un buon pilota: e nondimeno, se tu fossi lontana da me quanto la riva abbandonata cui lavano i marosi del più remoto fra gli oceani, non esiterei a mettermi in mare, per un carico così prezioso.
Giulietta: […] O nobile Romeo, s’è vero che m’ami, dichiaralo schiettamente […].
Romeo: Madamigella, per quella sacra luna che inargenta le cime di quegli alberi, giuro…
Giulietta: Oh, non giurare per la luna, l’incostante luna, che si trasforma ogni mese nella sua sfera, per tema che anche l’amor tuo non si dimostri al par di lei mutevole.
Romeo: E per che cosa dovrei giurare?
Giulietta: Non giurare affatto. O, se proprio vuoi giurare, giura per la tua persona benedetta, ch’è il dio della mia idolatria: e non potrò fare a meno di crederti. […] Mille volte buona notte!
Romeo: Mala notte le mille volte, invece, ora che mi viene a mancar la tua luce. L’amore corre incontro all’amore con la felicità con cui gli scolaretti fuggono dai loro libri, e all’incontro amore si separa da amore con quella medesima mestizia con che coloro si portano alla scuola.
Giulietta: […] Il dividersi è un dolore così dolce, che continuerei a darti la buona notte fino a domattina!
Coloro che possono noverare le loro ricchezze, sono soltanto dei mendichi. Ma l’amor mio schietto è giunto a un tale eccesso, ch’io non riesco più a calcolare nemmeno la metà del mio patrimonio.
Giulietta
Non siam nati che per morire.
Capuleti
Ecco il tuo oro, ch’è un veleno anche peggiore all’anima dell’uomo, poiché opera più delitti in questo mondo detestabile che non quelle povere innocenti misture che non ti sarebbe permesso di vendere.
Romeo
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Capuleti!… Montecchi! vedete anche voi qual flagello s’è abbattuto sul vostro odio, e come il cielo s’è dovuto servire dell’amore per uccidere le vostre gioie! […] D’una tetra pace è foriero il mattino, e il sole, per l’afflizione, non vorrà mostrare il suo volto. Andate pure, e dibattete ancor fra voi le ragioni di questi tristi casi. Taluni saranno perdonati, puniti talaltri. Perocché non vi fu mai alcuna storia più dolorosa che questa di Giulietta e del suo Romeo.
il Principe
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