Titolo: Chisciottimista Autore: Erri De Luca Nazionalità: italiana Prima pubblicazione: 2008 Casa Editrice: Dante & Descartes Pagine: 55 Provenienza: Durante questo evento, 9 agosto 2010 Link al libro: GOODREADS – ANOBII inizio lettura: 23 agosto 2010 fine lettura: 23 agosto 2010
Voto:10/10
Chisciotte, l’invincibile che non ne vince una, resta invincibile perché da nessuna sconfitta annientato, anzi da ogni sconfitta resuscitato per battersi di nuovo.
Personaggio che affascina lettori di ogni età e Paese ormai da quattrocento anni, ha colpito anche Erri De Luca, che ha deciso di portarlo a teatro, insieme a Gianmaria Testa e Gabriele Mirabassi. In questo libretto è raccontata la passione che sta dietro questa idea.
Ho già spiegato QUI il motivo dell’acquisto di questo libro. Ieri è iniziato il GDL su Don Chisciotte, così mi sono letta questo libriccino – la piccolezza si può vedere dalla foto della copertina, immortalata insieme a una moneta da un euro ;). Con i testi così brevi ho il 10 facile, me ne rendo conto, però proprio non riuscivo a dare di meno a questo piccolo gioiellino!
Erri De Luca, con la sua solita fantastica prosa ci racconta Chisciotte (senza il don, perché a Napoli si dice: «Levatemi il don e aumentatemi la settimana», il salario.) e il suo coraggio di eroe sempre inattuale, ma perennemente necessario.
Bonus
Anche in questo libro Erri ha citato la poesia di Hikmet dedicata a questo personaggio, e stavolta, avendo il titolo, l’ho potuta cercare, e ho trovato proprio la versione messa in musica da Erri, Gianmaria Testa e Gabriele Mirabassi.
Il cavaliere dell’eterna giovinezza
seguì, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c’era il mondo
coi suoi giganti assurdi e abietti
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico,
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico.
Quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c’è niente da fare, Don Chisciotte,
non c’è niente da fare
dovevi andare a sbattere
contro i mulini a vento
e i commercianti
dovevano buttartisi addosso a te
e coprirti di botte
non c’è niente da fare, Don Chisciotte.
Ma tu sei il cavaliere invincibile
degli assetati
e come una fiamma
tu vivrai per sempre, per sempre
dentro il tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea sarà
e Dulcinea sarà
e Dulcinea sarà
ogni giorno più bella
e Dulcinea sarà
e Dulcinea sarà
e Dulcinea sarà
ogni giorno più bella.
La cavalleria errante si era estinta da secoli. Ma ecco che nel 1600, epoca di grande potenza per la Spagna, per le sue strade gira un anziano signore di provincia che pretende di essere la reincarnazione di quei cavalieri.
[incipit]
«Desocupado lector», così attacca il prologo del libro e già inventa una figura nuova, il destinatario sconosciuto di un romanzo, un recapito senza nome e indirizzo che sta nell’aldilà delle sue stanze, del suo tempo prezioso scegliendo di tenersi compagnia con un libro.
Per lui conta solo andare, esiste il viaggio e non il traguardo. Si offre volontario al vagabondaggio. È l’ultimo aggiunto, a tempo scaduto, non solo alla schiera dei cavalieri erranti, ma al numero degli ebrei nel deserto che rigirano per quarant’anni il labirinto a cielo aperto delle vastità selvagge. Anche il viaggio di Gesù tra i contemporanei è vagabondaggio, però con una notizia difficile da intendere: lui è. Chi? Molto più del Messia, che in ebraico è solo un consacrato in olio, lui è figlio di, carne e ossa di. Chisciotte sbatte contro la stessa incredulità. Gli inattuali vengono sempre fraintesi, ricevuti come disturbatori. A differenza di Mosè e Gesù, lui non ha segni da offrire, solo il suo forsennato coraggio.
Chisciotte è scheletrico, denutrito, ardente. La sua febbre visionaria gli fa vedere occasioni per l’impresa dove invece si trascina la vita quotidiana di contrade assolate e polverose.
E finisce atterrato, battuto, a rotoloni ma si rialza, si riassesta dalle ammaccature ed è pronto per l’avventura nuova. Non si lascia abbattere da nessuna sconfitta. È perciò invincibile, titolo che spetta non a chi vince sempre, ma a chi mai si dichiara arreso e dopo ogni batosta si batte di nuovo, ancora e a oltranza.
“Vincente” è la moneta falsa d’oggigiorno. Mentre invincibile è Chisciotte che non vince mai e che pure quando ottiene per accidente il dominio di un regno, lo regala al suo scudiero Sancho.
La sua legge non produce giurisprudenza, tantomeno prudenza.
La sua tempra è di quelle che esauriscono il necessario sfogo di sognare senza chiudere gli occhi, in stato di veglia, coi sensi ben presenti.
A volte in montagna un’aria lucida accorcia le distanze e fa vedere breve un tratto invece lungo. È un errore dovuto a una troppa perfetta illuminazione.
Il visionario è chi sta sotto una lampante luce e vede così tanto meglio da essere per gli altri irricevibile. Il visionario non è un sognatore, ma un perseguitato in veglia da una lucidità spietata.
Sa di essere cavaliere errante in un’epoca fredda, di portare una temperature febbrile per il tempo in cui vive. Sa di essere arrivato in ritardo.
In questo, più che attuale, è permanente.
Ha avvertito d’improvviso l’ora giunta. È così per chi accetta di portare una missione. Non per gradi si affaccia, ma tutto in una volta, spaventosa e urgente. Rifiutarla è ammalarsi di omissione.
La leggenda su di lui pretende che sia un travisatore della realtà. Ma è più realista forse chi ha di fronte un torto, un’ingiustizia, e resta inerte? Non è un travisatore di realtà chi assiste a una prepotenza credendosi davanti a una scena come spettatore? L’inerzia dello spettatore è della peggior pasta: travista la realtà, la riduce a scena offerta allo sguardo.
È eroico perché sempre nell’inferiorità numerica dell’uno contro tutti, ma eroico in sovraccarico perché dotato del coraggio, inaudito prima e dopo, di esporsi al ridicolo. Nessun eroe prima di lui né dopo, ha saputo affrontare l’emergenza con il doppio disprezzo del pericolo e del ridicolo.
«Ignorate erano allora dai viventi queste due parole, del tuo e del mio. In quella pia età tutte erano comuni le cose» (Libro I, capitolo 11). Questo suo pensiero inattuale guadagnerebbe oggi il secondo premio della visionarietà. Il primo spetta a Cristo.
Serve a cosa oggi l’uomo di Cervantes? A spolverare lo scatto anchilosato che fa uscire dai gangheri e dai ranghi, anche soltanto con un passo innanzi, fuori dalla linea. Serve a sturare qualche arteria pigra e ossigenare la fraternità. Perciò contro l’evidenza del mondo sono Chisciottimista.
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