La Storia

di Elsa Morante

Titolo: La Storia
Genere: storico
Autore: Elsa Morante
Nazionalità: italiana
Anno prima pubblicazione: 1974
Ambientazione: Roma, 1941-1947
Personaggi: Giuseppe “Useppe” Ramundo, Ida Ramundo vedova Mancuso, Nino (Ninnuzzo o Ninnarieddu), Davide Segre
Casa Editrice: Gruppo Editoriale L’Espresso
Pagine: 605
Provenienza: Scambi anobiani, 13 agosto 2008
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 2 maggio 2010
fine lettura: 31 maggio 2010


…che insomma tuta la Storia l’è una storia di fascismi più o meno larvati… nella Grecia di Pericle… e nella Roma dei Cesari e dei Papi… e nella steppa degli Unni… e nell’Impero Azteco… e nell’America dei pionieri… e nell’Italia del Risorgimento… e nella Russia degli Zar e dei Soviet… sèmpar e departùt i liberi e gli schiavi… i ricchi e i poveri… i compratori e i venduti… i superiori e gli inferiori… i capi e i gregari…

Davide Segre

Durante la Seconda Guerra Mondiale Ida Ramundo, vedova Mancuso, maestra trentasettenne che non è mai cresciuta davvero, diviene protagonista di una storia uguale a tante altre storie, di allora e di sempre, che parla di fame, fatica, amore, solitudine, guerra, dolore, amicizia, gioia.

Un libro immenso.

Mi chiedevo iniziando la lettura cosa volesse significare di preciso il titolo. Andando avanti mi è parso sempre più chiaro, soprattutto grazie alle introduzioni strettamente storiche che precedevano l’inizio di ogni nuovo anno di narrazione. Questo libro racconta una storia, ma anche la Storia, perché ovunque nel mondo, di continuo, ci sono storie così, come quelle di Ida, di Useppe, di Nino, di Davide… e se la guerra finisce in Italia, prosegue in Grecia, inizia in India, si prepara in Vietnam. E anche se è finita la Guerra Mondiale, continuano sempre anche in Italia altre guerre, in un cerchio senza fine che sembra ripetersi all’infinito.

Il segnalibro che ho usato durante la lettura, a sinistra, mi è stato regalato da Thot e Porphydo quando ho preso il libro in scambio da loro; invece il segnalibro a destra, dedicato al libro, è mio!

Ho gustato ogni meravigliosa pagina della Morante; anche i due capitoloni verso la fine incentrati su Davide, che mi hanno annoiata un po’, si sono fatti comunque amare in più punti, anzi, forse sono stati quelli da cui ho tratto più frasi.

Ho anche imparato tante cose grazie agli “inserti storici” di cui parlavo prima, per esempio che la “questione Vietnam”, se non proprio la guerra, è iniziata appena finita la Seconda Guerra Mondiale. Appunto, la storia si ripete, cambiano gli attori, ma il dramma è lo stesso.

Mi sono innamorata di tutti i personaggi, dai protagonisti a quelli visti solo per qualche momento. Useppe è sicuramente quello che più di tutti mi ha preso il cuore, con la sua sensibilità, la sua sintonia con gli animali, il suo mondo di cose non dette, ma mai dimenticate… per certi versi è stato forse il personaggio in cui mi sono identificata di più!

Ma anche l’antipatico Nino mi ha conquistata con la sua voglia di libertà, e il suo amore sconfinato per i cani. Anche la povera Ida, e la pastora maremmana Bella, e Davide, e i Mille, e i Marrocco, e Santina, e insomma, come dicevo, tutti! Anche la narratrice (o narratore? Ho dato per scontato che fosse una donna, ma non so se ne fa mai un accenno!), esterna alla storia, ma che commenta come qualcuno che l’ha vissuta insieme ai protagonisti (ed in effetti alla fine mi è rimasta un po’ di curiosità sulla sua identità, mi sarebbe piaciuto scoprire chi era!).

E non posso dimenticare poi anche Roma e la Guerra, altre due protagoniste onnipresenti del romanzo. Proprio in questi ultimi giorni di lettura, ho “amicato” su Facebook un utente che ha raccolto un sacco di vecchie foto della mia città. C’è un album dedicato proprio alla guerra, e mi ha colpito molto vedere le devastazioni dei bombardamenti in luoghi a me così familiari. Leggendo poi la biografia della Morante, ho scoperto che durante la guerra lei si è rifugiata proprio qui, nella mia città! Chissà che non si sia ispirata a qualche mio concittadino per la famiglia Marrocco*!

Infine, oltre tutto questo, mi è piaciuta moltissimo l’attenzione agli animali sia in alcuni commenti fatti, a volte, dalla narratrice, sia, soprattutto, nel personaggio di Useppe, con la sua incredibile sensibilità per il dolore degli altri, umani e non.

Leggendo questo libro mi aspettavo un bel romanzo storico, anche bellissimo, va, però non credevo che avrebbe saputo catturarmi così tanto: una lettura che definire coinvolgente è riduttivo.

Un romanzo corale non solo perché racconta una storia ricca di personaggi, ma perché, appunto, è LA STORIA.

Mi spiace solo una cosa: che sia finito.

Grazie a…

My Library, la cui recensione mi ha fatto venire voglia di leggere questo libro.

Sfide

Un po’ di frasi

Un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma. Erano circa le due del dopopranzo, e a quell’ora, come d’uso, poca gente circolava per le strade. Nessuno dei passanti, poi, guardava il soldato, perché i Tedeschi, pure se camerati degli Italiani nella corrente guerra mondiale, non erano popolari in certe periferie proletarie. Né il soldato si distingueva dagli altri della sua serie: alto, biondino, col solito portamento di fanatismo disciplinare, e, specie nella posizione del berretto, una conforme dichiarazione provocatoria.
[incipit]
Precognizione, invero, non è la parola più adatta, perché la conoscenza ne era esclusa. Piuttosto, la stranezza di quegli occhi ricordava l’idiozia misteriosa degli animali, i quali non con la mente, ma con un senso dei loro corpi vulnerabili, «sanno» il passato e il futuro di ogni destino. Chiamerei quel senso […] il senso del sacro; intendendosi, da loro, per sacro, il potere universale che può mangiarli e annientarli, per la loro colpa di essere nati.
Di altri abitanti fissi del ricovero, attualmente c’era solo una famiglia, mezza romana e mezza napoletana, e così numerosa, da lei sola, che Cucchiarelli Giuseppe la soprannominava I Mille. I componenti napoletani di questa famiglia, rimasti senza tetto nella primavera di quell’anno in seguito ai bombardamenti di Napoli, erano venuti a rifugiarsi presso i loro parenti di Roma; ma anche qui erano rimasti senza tetto, insieme ai loro parenti ospitali, in seguito al bombardamento del luglio: «Noi», si vantavano in proposito scherzando, «siamo un obiettivo militare».
I fratelli di Carulina riportarono la notizia certa che Napoli era stata sgombrata dalle truppe tedesche. Gli Alleati erano alle porte della città, ma intanto i Napoletani, spazientiti d’aspettare, in pochi giorni avevano provveduto da soli a ripulirla: digiuni, com’erano, zingari senza casa, vestiti di stracci, armati di latte di benzina e di vecchie sciabole e di tutto quello che trovavano, allegramente avevano sopraffatto le truppe corazzate germaniche. «Napoli ha vinto la guerra!»
Per l’Idea, non basta de campà! È venuta l’ora di vivere!!
Giuseppe “Secondo” Cucchiarelli
Essa lo intratteneva pure con un gioco o meglio favoletta accompagnata da una mimica, da lei già usato coi figli suoi quand’erano piccoli. Era sempre uguale, e consisteva in questo: come inizio, essa gli solleticava la palma della mano, dicendo:
«Piazza bella piazza
ci passò una lepre pazza»
e poi, tirandogli uno dopo l’altro i diti, dal pollice in su, via via seguitava:
«Questo l’acchiappò
questo l’ammazzò
questo la cucinò
questo se la mangiò»,
e arrivata al mignolo, terminava:
«e a questo piccin piccino
non gli restò nemmanco un bocconcino».
«Ancora», le diceva Useppe alla fine della storia; e lei ricominciava da capo, mentre Useppe la guardava intento, sperando che, una volta o l’altra, la lepre pazza riuscisse a svignarsela, lasciando i cacciatori a mani vuote. Ma invariabilmente la favola procedeva e finiva sempre all’identica maniera.
Lo si sentiva a volte ripeterla fra sé in una sequela monotona: «pecché? pecché pecché pecché pecché??». Ma per quanto sapesse d’automatismo, questa piccola domanda aveva un suono testardo e lacerante, piuttosto animalesco che umano. Ricordava difatti le voci dei gattini buttati via, degni asini bendati alla macina, dei caprettini caricati sul carro per la festa di Pasqua. Non si è mai saputo se tutti questi pecché innominati e senza risposta arrivino a una qualche destinazione, forse a un orecchio invulnerabile di là dai luoghi.
Io, una volta, avevo dei cagnolini…
Non so quanti fossero, di numero, io non so contare. È certo che all’ora del latte mi trovavo con le sise tutte occupate, al completo!!! Insomma, erano tanti, e uno più bello dell’altro. Ce n’era uno bianco e nero, uno tutto nero con un’orecchia bianca e una nera, e uno pure quello tutto nero con la barbetta bianca… Quando ne guardavo uno, il più bello era lui; ma ne guardavo un altro, e il più bello era questo qua; poi ne leccavo un altro, e frattanto un altro ancora spuntava di mezzo col muso, e indubbiamente ognuno era il più bello. La loro bellezza era infinita, ecco il fatto. Le bellezze infinite non si possono confrontare.
Bella
A giudizio di suo padre, un dipendente del cantiere, che si appropriasse di un rotolo di filo di rame, senz’altro era un ladro; ma se qualcuno a suo padre gli avesse detto, a lui, che le sue famose azioni erano rubate sulla paga dei lavoratori, lui questa l’avrebbe presa per un’assurdità. Se un rapinatore armato fosse entrato con la forza in casa loro devastando e ammazzando, suo padre e sua madre lo avrebbero giudicato naturalmente un criminale infame, degno dell’ergastolo; però quando i rapinatori fascisti agirono allo stesso modo contro il territorio etiopico, essi offrirono il proprio oro per favorirli.
Quel Cristo là si nominava, secondo i documenti, Gesù di Nazaret, però altre volte, attraverso i tempi, il cristo si è presentato sotto diversi nomi, di maschio, o di femmina – lui non bada al genere – di pelle chiara o scura – lui si mette il primo colore che càpita – e in oriente e in occidente e in tutti i climi – e ha parlato in tutte le lingue di Babele – sempre tornando a ripetere la stessa parola! Difatti, solo da quella si riconosce il cristo: dalla parola! che è solo una sempre la stessa: quella là! E lui l’ha detta e ridetta e tornata a ridire, oralmente e per iscritto; e da sopra la montagna e da dentro le gattabuie e… e dai manicomii… e departùt… Il cristo non bada alla località, né all’ora storica, e né alle tecniche del massacro… Già. Siccome lo scandalo era necessario, lui si è fatto massacrare oscenamente, con tutti i mezzi disponibili – quando si tratta di massacrare i cristi non si risparmia sui mezzi… Ma l’offesa suprema, che gli hanno fatta, è stata la parodia del pianto! Generazioni di cristiani e di rivoluzionari – tutti quanti complici! – hanno seguitato a frignare sul suo corpo – e intanto, della sua parola, ne facevano merda!
Davide Segre
Il sole è come un albero grande
che dentro tiene i nidi.
E suona come una cicala maschio e come il mare
e con l’ombra ci scherza come una gatta piccola.
Useppe
Per l’allevamento sistematico di masse di manovra al servizio dei poteri industriali, i mezzi di comunicazione popolari (giornali, riviste, radio, televisione) vengono usati per la diffusione e la propaganda di una «cultura» deteriore, servile e degradante, che corrompe il giudizio e la creatività umana, occlude ogni reale motivazione dell’esistenza, e scatena morbosi fenomeni collettivi (violenza, malattie mentali, droghe).
(1957-1957-1958-1959-1960-1961)
…..e la Storia continua…..
Tutti i semi sono falliti eccettuato uno, che non so cosa sia, ma che probabilmente è un fiore e non un’erbaccia
(Matricola n. 7047 della Casa Penale di Turi)


* In mezzo a tutta quella parlata romanesca, che piacere mi ha fatto leggere di questi ciociari che parlavano di pettola, e che per dire “guarda” dicevano “tr’mint”! :D

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