di Leonardo Sciascia
Ma la mafia era, ed è, altra cosa: un «sistema» che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.
Il giorno della civetta, in effetti, non è che un «per esempio» di questa definizione. Cioè: l’ho scritto, allora, con questa intenzione. Ma forse è anche un buon racconto.Leonardo Sciascia, 1972
Il Capitano Bellodi indaga su alcuni omicidi; i giornali, la gente, anche il maresciallo, sono convinti si tratti di delitti passionali (quasi tutti gli omicidi, in Sicilia, sono causati dalla “passione” o da errori). Bellodi, invece, cerca la verità e, soprattutto, la giustizia.
La frase che ho riportato su è la fine dell’Avvertenza scritta da Sciascia in occasione dell’uscita de Il giorno della civetta nella collana «Letture per la scuola media» Einaudi.
Senza esitazioni, posso dire che sì, è davvero un buon racconto, anzi, più che buono. Confermo, ribadisco e sottoscrivo che Sciascia scrive veramente bene.
Questo romanzo (o racconto, come lo definisce lui) l’avevo letto per la prima volta in IV Ginnasio, quindi eoni fa, e ne avevo un ricordo tiepido. Una storia semplice mi era piaciuto molto di più. Per un certo affetto che gli porto, confermo ancora questa preferenza, ma il distacco non è più così ampio.
Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da piccolamimi. |
Ancora più “impressione” poi mi ha fatto la lettura del Il giorno della civetta dopo aver letto anche Gomorra, viste le affinità che ho potuto notare tra la mafia-che-non-c’è della Sicilia anni ’50 e la camorra dei giorni nostri.
Una scena fra tutte, quella della seduta in parlamento, con tanto di rissa finale per cui i due mafiosi anonimi invitati dall’onorevole ad assistere commentano: ‘Qui ci vuole un battaglione di carabinieri’ […]: per la prima volta nella loro vita ammettendo che i carabinieri potevano servire a qualcosa.
Bellissimo il finale parmense, con Bellodi che amareggiato e sfiduciato ammira la sua città natale:
Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. ‘In Sicilia le nevicate sono rare’ pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero. Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.
«Mi ci romperò la testa» disse a voce alta.
[explicit]
Solo una cosa mi è un po’ dispiaciuta: la lunghezza. È veramente corto, ha ragione Sciascia a definirlo un racconto! E ancora di più mi è spiaciuto apprendere nella nota finale che la brevità è stata anche ottenuta con fatica, ma non voluta. Spiega infatti Sciascia: «Quando mi sono accorto che la mia immaginazione non aveva tenuto nel dovuto conto i limiti che le leggi dello Stato e, più che le leggi, la suscettibilità di coloro che le fanno rispettare, impongono, mi sono dato a cavare, a cavare. […]
Può darsi il racconto ne abbia guadagnato. Ma è certo, comunque, che non l’ho scritto con quella piena libertà di cui uno scrittore (e mi dico scrittore soltanto per il fatto che mi trovo a scrivere) dovrebbe sempre godere.»
Peccato. Chissà se davvero il racconto ci ha guadagnato, non lo so, magari è anche vero. A me sarebbe piaciuto però di più poter leggere tutto quello che Sciascia voleva, davvero, raccontare.
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