Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra
di Roberto Saviano
Anno: 2006
Casa Editrice: Mondadori
pagine: 331
Gomorra su aNobii
Questo libro partecipa a La Sfida A PUNTI e La sfida a Tema 2.
Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.
(Roberto Saviano)Non vedete che questa terra è Gomorra, non lo vedete?
(Cipriano, amico di don Peppino Diana)
Trama:
Il sottotitolo dice tutto.
Non mi piace molto come scrive Saviano in questo libro. Avevo letto tempo fa di lui un racconto, Il contrario della morte, in cui invece il suo stile non mi era dispiaciuto. Qui invece la scrittura si fa pesante, e faticosa da leggere. Ma sono quisquiglie, perché quello che poi ti rende ostica la lettura, in realtà, è il contenuto. Io infatti non lo volevo leggere ‘sto libro. Lo so, era vigliaccheria, la mia, ma sono troppo impressionabile. Poi ho letto Solo per giustizia, che lo citava, e mi sono decisa. Bè, avevo ragione a non volerlo leggere. Ma sono contenta di averlo fatto. Questo libro ha sconvolto e modificato il mio modo di guardare alla mia città, al mio Paese, e a ciò che mi circonda in generale. Mi ha aperto gli occhi su realtà che credevo di conoscere, ma che iniziavo forse solo a intuire, o ignoravo del tutto. Sono rimasta sconvolta dalla crudeltà, ma a volte anche dalla stupidità e dall’ingenuità di certi camorristi, che sparano con le pistole di sghembo come hanno visto fare nel film di Tarantino, si fanno fare la villa come quella del protagonista di Sarface, copiano frasi e abbigliamenti da Il Padrino.
Ho provato dolore nel leggere cose che però mi aspettavo, ad esempio il fatto che tutte le persone che testimoniano, denunciano, trovano il coraggio della verità, poi finiscono male, nel più lieve dei casi abbandonate da tutti, spesso morte ammazzate. Come don Peppino Diana, a cui Saviano dedica un intero capitolo, colui che ha ispirato il titolo “Gomorra”.
Ho avuto anche reazioni strane, a volte. Per esempio leggendo che gli autori di un agguato «scesero lentamente, per dare il tempo ai passanti di scappare», ho avuto di primo acchito un moto di simpatia per queste persone che si preoccupavano di non mettere in mezzo degli innocenti che non c’entravano nulla. Tanta è la crudeltà e l’indifferenza per la vita di chiunque che di solito accompagna queste azioni, che dei killer che si preoccupano di non colpire nessuno se non i loro bersagli, paiono personaggi positivi.
Insomma, passando sopra allo stile, e al dolore che mi ha procurato leggerlo, non posso che dare il voto più alto a questo libro, e dire a tutti che dovrebbero leggerlo. Infatti, come dice lo stesso Saviano, conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L’unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare.
Sono grata alla sfida a tema che mi ha dato l’occasione di leggere questo libro. Il tema del mese di gennaio era rosso, e penso che Gomorra lo rispecchi ampiamente. E’ rosso, come il sangue, come l’odio, come la malattia che appesta le terre di camorra, ma rossa è anche la passione di Saviano nello scrivere questa testimonianza, che, anche a lui, è costata molto.
Un po’ di frasi che mi hanno colpito in modo particolare.
Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse galleggiando nell’aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini.
Ma a terra le teste si spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l’uno sull’altro. In fila, stipati come aringhe in scatola.
[incipit]
Lorenzo Diana è uno di quei rari uomini che sa che combattere il potere della camorra comporta una pazienza certosina, quella di ricominciare ogni volta da capo, dall’inizio, tirare a uno a uno i fili della matassa economica e raggiungerne il capo criminale. Lentamente ma con costanza, con rabbia, anche quando ogni attenzione si dilegua, anche quando tutto sembra davvero inutile e perso in una metamorfosi che lascia alternare poteri criminali a poteri criminali, senza sconfiggerli mai.
Qualcuno ha detto che a sud si può vivere come in un paradiso. Basta fissare il cielo e mai, mai osare guardare in basso. Ma non è possibile. L’esproprio d’ogni prospettiva ha sottratto anche gli spazi della vista. Ogni prospettiva si imbatte in balconi, soffitte, mansarde, condomini, palazzi abbracciati, quartieri annodati.
[Don Peppino Diana] scrisse, firmandolo assieme a tutti i preti della forania di Casal di Principe, un documento inaspettato, un testo religioso, cristiano, con una traccia di disperata dignità umana, che rese quelle parole universali, capaci di superare i perimetri religiosi e di far tremare sin nella voce le sicurezze dei boss, che arrivarono a temere quelle parole più di un blitz dell’Antimafia, più del sequestro delle cave e delle betoniere, più delle intercettazioni telefoniche che tracciano un ordine di morte. Era un documento vivo con un titolo romanticamente forte: “Per amore del mio popolo non tacerò”.
Ogni tanto qualcuno si chiude. Da queste parti poi non è raro sentirsi dire una cosa del genere. […] Chiudersi, diventare silenzioso, quasi muto, una volontà di scappare dentro di sé e smettere di sapere, di capire, di fare. Smettere di resistere, una scelta di eremitaggio presa un momento prima di sciogliersi nei compromessi dell’esistente.
È giunto il tempo che smettiamo di essere una Gomorra…
(Cipriano)
Il segnalibro è stato realizzato da mia sorella, apposta per me, come regalo di Natale! :) L’ho scelto perché è rosso come il tema della sfida per cui ho letto questo libro.