di Pino Roveredo
Ma nessuno può scrivere la vita prima che avvenga, lei gira a piacere tra mistero e bugia, sempre pronta a sorprenderti e smentirti.
Se fossi mio figlio
Quattordici racconti, tutti più o meno brevi, tutti più o meno tristi, tutti più o meno intensi, tutti che lasciano il segno.
La copertina interna della mia edizione. |
Questo libro mi è stato regalato da mia zia diversi Natali fa, con mia somma gioia perché qualunque regalo libresco mi fa sempre felice! Però, non l’avevo ancora mai letto, perché non avevo mai sentito nominare l’autore, perciò nella scelta tra questo libro e un altro che conoscevo di più, finiva sempre col vincere l’altro! Ora grazie alla sfida dei mini l’ho finalmente preso in mano, e l’ho trovato bellissimo! Peccato che l’introduzione di Claudio Magris lunga e noiosa stava facendomelo odiare! La scrittura di Roveredo invece è ricca ma non pesante, anzi, i racconti sono tutti molto brevi, allo stesso tempo leggeri e toccanti.
Il primo, Parlare con le mani, ascoltare con gli occhi…, racconta dell’esperienza vera dell’autore, figlio di genitori sordomuti.
Anche il secondo, che dà il titolo alla raccolta, è quasi autobiografico, da quanto ho potuto leggere della vita dell’autore. È una lunga e disperata lettera d’amore, un amore, può sembrare paradossale dirlo, ostacolato dalla libertà.
Il terzo, 100! 120! 140!… è veramente molto molto triste, insieme a I ragazzi di quarant’anni e Se fossi mio figlio è tra i più malinconici e dolorosi. Quest’ultimo in particolare non mi è piaciuto molto, forse perché ha toccato un tasto dolente per me, le aspettative deluse dei genitori. Anche Uno come noi e Boccata d’amoreiem> mi sono piaciuti di meno, ma anche in questi c’erano comunque parti molto belle.
Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da me!. |
Brutti sgabuzzini e Succo d’aceto, anch’essi belli e tristi, raccontano di minori sfruttati. Invece La famiglia Starnazza, Problema e Il maiale col fiocco sono i più “allegri”, con un tema meno cupo degli altri, anche se sempre un po’ tristi.
Ho amato poi particolarmente L’uomo dei coperchi e Vola l’ucraino, molto molto belli, i miei preferiti.
Nel descrivere i vari racconti, non ho potuto fare a meno di ripetere spesso l’aggettivo triste, caratteristica che, a quanto ho capito, pervade un po’ tutti i lavori di Roveredo. Però quello che me li ha fatti piacere così tanto, è che sono sì molto tristi, ma non deprimenti, si fanno leggere con piacere e anche coinvolgendoci, ma poiché conservano una certa dolcezza, alcuni un alone quasi di fiaba, commuovono narrandoci realtà fin troppo vere nella loro crudeltà, ma senza deprimere. Forse perché raccontate non dall’occhio esterno di chi non può fare a meno di dare un giudizio, bensì con la partecipazione vera di chi dentro le brutture dell’esistenza c’ha vissuto davvero.
Penso che cercherò di leggere altro di Pino Roveredo, anche se in un racconto mi ha fatto veramente arrabbiare, usando gli al posto di le!! Che orrore!!!
La copertina compresa di fascetta del premio Campiello. |
ciao,quanti ricordi in questo(e quell’altro)blog!E le "mie" indispensabili emoticons!
Ma come nessun commento?Questa recensione è fenomenale :accurata,sentita,coinvolgente!Brava!!!
Grazie!!! E’ vero, le emoticon risvegliano tanti ricordi! Questa per esempio?