L’insostenibile leggerezza dell’essere


di Milan Kundera

Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza. Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle. Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso, lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos’era successo in realtà a Sabina? Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l’aveva forse perseguitata? Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di Sabina non era caduto un fardello, ma l’insostenibile leggerezza dell’essere.

Mi riesce difficile riassumere la trama di questo libro, così sfrutto un commento scritto in quarta di copertina, che non spiega proprio la trama, ma spiega benissimo il senso di questo libro:
Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.
Italo Calvino

Insomma, se qualcuno prima di me l’ha già detto così bene, perché sforzarmi tanto a trovare le parole? ;)

Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da Melinda.

Potrei dilungarmi ad analizzare la filosofia di questo romanzo, potrei parlare della circolarità del tempo, dell’amore per gli opposti, della Primavera di Praga… ma perché appesantire un commento che potrebbe essere leggero ma comunque esaustivo, dicendo semplicemente che questo libro è veramente, veramente bello? ;)

Però, poiché non ce la faccio a non parlare un po’ più approfonditamente di un libro che mi è tanto piaciuto, almeno qualche altra cosina la voglio dire!

Mi piace molto il modo di scrivere di Kundera, il suo stile, ma anche il suo “intromettersi” ogni tanto nella storia, parlando in prima persona come autore. Mi piace lo svolgersi della vicenda in diversi piani temporali, passando da un personaggio all’altro e da un periodo all’altro a volte anche nello stesso capitolo. Mi piacciono i suoi personaggi, pur con tutti i loro (a volte anche abbastanza odiosi) difetti.

Ma soprattutto ho amato questa lettura perché era veramente da tanto, tantissimo tempo che volevo leggere L’insostenibile leggerezza dell’essere!!! Penso più o meno qualche anno dopo la sua uscita, perché ricordo che ero piccola, e mi colpì moltissimo il titolo, e soprattutto il nome dell’autore: Milan, come la squadra di calcio! Saranno anche futili i motivi che mi attirarono verso questo libro, fatto sta che per tutti questi anni è stato nella mia wishlist, e ora che finalmente l’ho letto, bè, non ne sono rimasta delusa!!! Neanche un po’!

Inoltre, questo libro mi ha fatto venire voglia di leggere Nietzsche, che languiva nella mia libreria da secoli, e che avevo proprio paura di iniziare!

Titolo: L’insostenibile leggerezza dell’essere
Titolo originale: Nesnesitelná lehkost bytí
Autore: Milan Kundera
Nazionalità: ceca, naturalizzato francese
Prima pubblicazione: 1984
Casa Editrice: Adelphi
Traduzione: Giuseppe Dierna [Antonio Barbato]
Pagine: 318
ISBN: 9788845906862
Provenienza: Libreria, 3 marzo 2009
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 27 marzo 2009
fine lettura: 11 giugno 2009

Sfide

Un po’ di frasi

L’idea dell’eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell’imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l’abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all’infinito! Che significato ha questo folle mito?
[incipit]

Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita soltanto e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future.

Che cos’è la vertigine? Paura di cadere? Ma allora perché ci prende la vertigine anche su un belvedere fornito di una sicura ringhiera? La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura.

«Magari, se fossi vissuta in un’altra epoca…» e [Sabina] pensa al tempo in cui viveva Johann Sebastian Bach e la musica assomigliava a una rosa fiorita sulla sconfinata landa nevosa del silenzio.

In Europa la bellezza è sempre stata premeditata. C’è sempre stata un’intenzione estetica e un progetto a lungo termine; ci sono voluti decenni per costruire, secondo quel progetto, una cattedrale gotica o una città rinascimentale. La bellezza di New York ha una base completamente diversa. È una bellezza inintenzionale. È sorta senza intenzione da parte dell’uomo, un po’ come una grotta di stalattiti. Forme in sé brutte si trovano per caso, senza un piano, in ambienti così incredibili che di colpo brillano di una poesia magica.
Franz

Varsavia, Dresda, Berlino, Colonia, Budapest erano state terribilmente mutilate dall’ultima guerra, ma i loro abitanti le avevano ricostruite e in genere avevano cercato di restaurare con cura i vecchi centri storici. I praghesi si sentivano inferiori a quelle città. L’unico edificio famoso che la guerra avesse loro distrutto era il Municipio della Città Vecchia. Decisero di lasciarlo in rovina per non dare la possibilità a qualche polacco o a qualche tedesco di accusarli di aver sofferto poco.

Le domande veramente serie sono solo quelle che possono essere formulate da un bambino. Solo le domande più ingenue sono veramente serie. Sono domande per le quali non esiste risposta.

Nella lingua di Kant, anche il “buon giorno”, convenientemente pronunciato, può assumere l’aspetto di una tesi metafisica.

I personaggi non nascono da un corpo materno come gli esseri umani, bensì da una situazione, da una frase, da una metafora, contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale che l’autore pensa nessuno abbia mai scoperto o sulla quale ritiene nessuno abbia mai detto qualcosa di essenziale.
[…]
I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate.

La merda è un problema teologico più arduo del problema del male. Dio ha dato all’uomo la libertà e quindi, in fin dei conti, possiamo ammettere che egli non sia responsabile dei crimini perpetrati dall’umanità. Ma la responsabilità della merda pesa interamente su colui che ha creato l’uomo.

Penso al redattore che aveva organizzato a Praga la raccolta di firme per l’amnistia dei prigionieri politici. Lui sapeva bene che quell’azione non avrebbe aiutato i prigionieri. L’obiettivo reale non era liberare i prigionieri, ma mostrare invece che c’erano ancora persone che non avevano paura. Ciò che aveva fatto era uno spettacolo. Ma non aveva altra possibilità. Non aveva possibilità di scelta tra azione e spettacolo. La scelta era: o dare spettacolo oppure non fare nulla. Ci sono situazioni nelle quali le persone sono condannate a dare spettacolo. La lotta contro un potere silenzioso […] è la lotta di una compagnia teatrale che ha assalito un esercito.

Subito all’inizio della Genesi è scritto che Dio creò l’uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, i pesci e gli animali. Naturalmente la Genesi è stata redatta da un uomo, non da un cavallo.

La vera bontà dell’uomo si può manifestare in tutta purezza e libertà solo nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell’uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri.

Adesso provava la stessa strana felicità e la stessa strana tristezza di allora. Quella tristezza voleva dire: siamo all’ultima stazione. Quella felicità voleva dire: siamo insieme. La tristezza era la forma e la felicità il contenuto. La felicità riempiva lo spazio della tristezza.

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