Titolo: Tre uomini in barca Sottotitolo: (per non parlar del cane) Serie: Three Men (1) Titolo originale: Three Men in a Boat Genere: umoristico, viaggio Autore: Jerome Klapka Jerome (Society – Wikipedia) Nazione: Regno Unito Anno prima pubblicazione: 1889 Ambientazione: Londra, Tamigi (Regno Unito); seconda metà del XIX secolo Personaggi: Harris, George, J, Montmorency Casa Editrice: Fabbri Editori (cartaceo) Traduzione: Maria Pia Balboni (cartaceo) Pagine: 260 (cartaceo) – 223 (ebook) Link al libro: IN LETTURA – GOODREADS (ebook) inizio lettura: 10 marzo 2015 fine lettura: 9 ottobre 2015
Voto:9/10
It always does seem to me that I am doing more work than I should do. It is not that I object to the work, mind you; I like work: it fascinates me. I can sit and look at it for hours.
Mi sembra sempre ch’io faccia più lavoro di quanto dovrei. Non è che obietto il lavoro, attenzione; mi piace il lavoro: mi affascina. Potrei stare seduto a guardarlo per ore.
Ho riletto questo libro, stavolta in lingua originale. Non è stato emozionante come alla prima lettura, ma sicuramente mi sono comunque divertita!
Tre amici decidono di prendersi una vacanza e programmano un viaggio in barca sul Tamigi.
Ho letto questo libro per la prima volta anni fa, onestamente non ricordo quando né come arrivai a comprarlo. Ricordo solo che mi piacque tantissimo! Lo trovai non solo estremamente divertente, ma anche di un umorismo molto moderno, diciamo anche senza tempo, come lo sono tutti i classici degni di questo nome. Anni dopo lessi anche il seguito, e anche quello mi piacque non poco. Così quando qualcun altro (non io!) ha proposto questo titolo al gruppo di lettura di cui faccio parte, ho pensato potesse essere una buona occasione per provare a leggerlo in lingua originale.
Questa seconda lettura non è stata entusiasmante come la prima, soprattutto perché nonostante gli anni passati ancora mi ricordavo abbastanza bene alcune delle scene più belle. Di contro però credo di aver potuto apprezzare ancora d più l’ironia mista all’umorismo che forse alla mia prima lettura, quando ero piuttosto giovincella, mi era sfuggita. E infatti do a questo libro comunque le 5 stelline piene, perché ritengo che Jerome sia un autore geniale.
La trama è veramente tutta riassumibile nel titolo: ci sono tra amici che, in compagnia del loro cane, decidono di mettersi in viaggio, in barca. E, come c’è scritto nella prefazione, si tratta del racconto di avvenimenti realmente accaduti, anche se non proprio fedelmente riportati: Its pages form the record of events that really happened. All that has been done is to colour them. (Le sue pagine formano il resocnto di eventi realmente avvenuti. Tutto quello che è stato fatto è di abbellirli.) E infatti il romanzo è pieno di situazioni allo stesso tempo paradossali ma così familiari, che sicuramente sono accadute un po’ a tutti noi. Come per esempio la difficoltà nel districare una corda, e il mistero di come si sia aggrovigliata in quel modo (oggi abbiamo i cavi degli auricolari, ma il concetto è lo stesso!), oppure la divisione dei compiti in un lavoro comune, o ancora quanto qualcosa ci appaia ridicolo se succede agli altri ma imperdonabile se succede a noi. Sono a volte piccole banalità, a volte luoghi comuni, ma descritti così amabilmente da Jerome, con la forza del discorso in prima persona di chi, con apparente ingenuità ma molta reale malizia, analizza i difetti altrui e rivela schiettamente i propri pur fingendo di fare il contrario.
L’ambientazione è il fiume Tamigi, nella Londra della seconda metà del XIX secolo. Passiamo la maggior parte del tempo proprio sul fiume, con qualche occasionale sortita sulla riva. I personaggi sono essenzialmente i quattro protagonisti, i tre amici più il cane, che nel viaggio reale non c’era, ed è inserito nella storia fittizia a fare un po’ da giudice dei nostri, da creatura superiore che osserva i loro guai e le loro disavventure senza lasciarsene turbare più di tanto… salvo essere lui l’elemento perturbante e infastidire i tre già alle prese con qualche situazione difficile!
Lo stile di Jerome è fresco e moderno, anche se ammetto che la lettura in lingua mi ha a volte creato qualche difficoltà in più, non foss’altro per la presenza di termini antiquati. Comunque sempre molto piacevole!
Le copertine, sia quella del cartaceo che dell’ebook, non sono niente di che. Il titolo è carinissimo, ma come sempre quando è uno di quelli strafamosi mi è difficile capire se mi piace di per sé o perché ci sono così abituata. Per quanto riguarda il sottotitolo, penso di poter dire con certezza che mi piace moltissimo a prescindere dalla sua fama! :)
Commento generale.
Un libro divertentissimo, in cui è facile ritrovare, più di un secolo dopo, tutte le nostre stesse manie, i nostri problemi, i nostri piaceri e tutte quelle piccole particolarità che caratterizzano la cosiddetta, sempre immutabile, natura umana. Una lettura che consiglio assolutamente!
Curiosità
Ad un certo punto nel libro il narratore analizza l’ossessione dei suoi contemporanei per gli oggetti che nel secolo passato erano di uso quotidiano e per loro sono diventati oggetti d’arte di cui vantarsi con gli amici, e fa una riflessione: Will rows of our willow-pattern dinner-plates be ranged above the chimneypieces of the great in the years 2000 and odd? (I piatti decorati in azzurro nei quali mangiamo oggi verranno forse appesi sopra ai camini delle case dei ricchi, nell’anno 2000 e rotti?). A parte il fatto che sì, diciamo che Jerome ci aveva azzeccato abbastanza nella sua previsione, mi ha fatto un certo effetto pensarlo mentre si immaginava questo futuro remoto, così lontano, il nuovo millennio… che è appunto dove siamo noi adesso.
Perdonatemi se non le ho tradotte, sono tante, io sono indietrissimo con le recensioni, ho pensato di risparmiarmi almeno questa fatica! Sorry! :)
There were four of us — George, and William Samuel Harris, and myself, and Montmorency. We were sitting in my room, smoking, and talking about how bad we were — bad from a medical point of view I mean, of course.
[incipit]
It is a most extraordinary thing, but I never read a patent medicine advertisement without being impelled to the conclusion that I am suffering from the particular disease therein dealt with in its most virulent form.
In the present instance, going back to the liver-pill circular, I had the symptoms, beyond all mistake, the chief among them being “a general disinclination to work of any kind.”
What I suffer in that way no tongue can tell.
That’s Harris all over — so ready to take the burden of everything himself, and put it on the backs of other people.
Packing is one of those many things that I feel I know more about than any other person living. (It surprises me myself, sometimes, how many of these subjects there are.)
I can’t sit still and see another man slaving and working. I want to get up and superintend, and walk round with my hands in my pockets, and tell him what to do. It is my energetic nature. I can’t help it.
It seems to be the rule of this world. Each person has what he doesn’t want, and other people have what he does want.
[He] wanted to know if we knew that we were trespassing. We said we hadn’t given the matter sufficient consideration as yet to enable us to arrive at a definite conclusion on that point, but that, if he assured us on his word as a gentleman that we were trespassing, we would, without further hesitation, believe it.
I don’t understand German myself. I learned it at school, but forgot every word of it two years after I had left, and have felt much better ever since.
He swore at us in German (which I should judge to be a singularly effective language for that purpose).
I do not wish to be insulting, but I firmly believe that if you took an average tow-line, and stretched it out straight across the middle of a field, and then turned your back on it for thirty seconds, that, when you looked round again, you would find that it had got itself altogether in a heap in the middle of the field, and had twisted itself up, and tied itself into knots, and lost its two ends, and become all loops.
How he managed it I do not know, he could not explain himself; but by some mysterious process or other he succeeded, after ten minutes of superhuman effort, in getting himself completely rolled up in it.
People who have tried it, tell me that a clear conscience makes you very happy and contented; but a full stomach does the business quite as well, and is cheaper, and more easily obtained. One feels so forgiving and generous after a substantial and well-digested meal — so noble-minded, so kindly-hearted.
It is very strange, this domination of our intellect by our digestive organs. We cannot work, we cannot think, unless our stomach wills so. It dictates to us our emotions, our passions. After eggs and bacon, it says, “Work!” After beefsteak and porter, it says, “Sleep!” After a cup of tea (two spoonsful for each cup, and don’t let it stand more than three minutes), it says to the brain, “Now, rise, and show your strength. Be eloquent, and deep, and tender; see, with a clear eye, into Nature and into life; spread your white wings of quivering thought, and soar, a god-like spirit, over the whirling world beneath you, up through long lanes of flaming stars to the gates of eternity!”
Had there been any particular reason why we should not have gone to sleep again, but have got up and dressed then and there, we should have dropped off while we were looking at our watches, and have slept till ten.
It appears that he knows your father, and is intimately acquainted with yourself, but this does not draw you towards him. He says he’ll teach you to take his boards and make a raft of them; but, seeing that you know how to do this pretty well already, the offer, though doubtless kindly meant, seems a superfluous one on his part, and you are reluctant to put him to any trouble by accepting it.
They said they hoped he would not deem them capable of so insulting any one except a personal friend of their own.
He was swimming about there near the beach, when he felt himself suddenly seized by the neck from behind, and forcibly plunged under water. He struggled violently, but whoever had got hold of him seemed to be a perfect Hercules in strength, and all his efforts to escape were unavailing. He had given up kicking, and was trying to turn his thoughts upon solemn things, when his captor released him.
He regained his feet, and looked round for his would-be murderer. The assassin was standing close by him, laughing heartily, but the moment he caught sight of Harris’s face, as it emerged from the water, he started back and seemed quite concerned.
“I really beg your pardon,” he stammered confusedly, “but I took you for a friend of mine!”
Harris thought it was lucky for him the man had not mistaken him for a relation, or he would probably have been drowned outright.
That the boat did not upset I simply state as a fact. Why it did not upset I am unable to offer any reason. I have often thought about the matter since, but I have never succeeded in arriving at any satisfactory explanation of the phenomenon.
Possibly the result may have been brought about by the natural obstinacy of all things in this world. The boat may possibly have come to the conclusion, judging from a cursory view of our behaviour, that we had come out for a morning’s suicide, and had thereupon determined to disappoint us. That is the only suggestion I can offer.
They said that I was an extremely neat thrower, and that I seemed to have plenty of gumption for the thing, and quite enough constitutional laziness. But they were sure I should never make anything of a fisherman. I had not got sufficient imagination.
[…]
Some people are under the impression that all that is required to make a good fisherman is the ability to tell lies easily and without blushing; but this is a mistake. […] It is in the circumstantial detail, the embellishing touches of probability, the general air of scrupulous — almost of pedantic — veracity, that the experienced angler is seen.
“Well,” said Harris, reaching his hand out for his glass, “we have had a pleasant trip, and my hearty thanks for it to old Father Thames — but I think we did well to chuck it when we did. Here’s to Three Men well out of a Boat!”
And Montmorency, standing on his hind legs, before the window, peering out into the night, gave a short bark of decided concurrence with the toast.
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella Cookie Policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera manifesti il tuo consenso all’uso dei cookie. Accetta
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.