Trilogia del ritorno
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Titolo: Niente resurrezioni, per favore
Serie: Trilogia del ritorno (3)
Titolo originale: No resurrection, please
Genere: storico
Autore: Fred Uhlman (Wikipedia)
Nazione: Germania
Anno prima pubblicazione: 1979
Ambientazione: Stoccarda (Germania), anni 50
Personaggi: Simon Elsas
Casa Editrice: TEA
Traduzione: Elena Bona
Copertina: Jiři Georg Dokoupil, Senza titolo, 1987
Pagine: 91
Provenienza: BookMooch
Link al libro: IN LETTURA – ANOBII – GOODREADS
inizio lettura: 17 dicembre 2014
fine lettura: 19 dicembre 2014
Questo suo ritorno aveva fatto sì che la memoria, come un torrente fangoso, scoperchiasse le tombe dei morti dimenticati, per trasportarne le ombre da una riva all’altra dell’Acheronte e distruggere la diga da Elsas costruita con tanta cura perché il passato non lo inghiottisse e gli lasciasse iniziare una nuova vita.
(Pagina 83)
Con questo libro si conclude la Trilogia del ritorno: una conclusione tristemente perfetta.
Simon Elsas ritorna nella sua città natale dopo esserne fuggito vent’anni prima per sfuggire alla persecuzione nazista.
Ho presto questo libro su Bookmooch. I libri che mi arrivano tramite questo sito sono nelle condizioni più disparate. Questo era molto usato, con sottolineature e annotazioni di un precedente lettore (forse anche più d’uno): devo dire che la cosa mi ha fatto molto piacere! Personalmente adoro i libri un po’ vissuti, che oltre alla storia che hanno scritta dentro condividono anche quella delle persone che li hanno letti!
A prescindere da questo, comunque, Niente resurrezioni, per favore è proprio un bel libro. La trama è racchiusa in un paio di giorni, in cui Elsas percorre le vie della sua città natale, ora per lui diventata straniera, irriconoscibile, e incontra, volutamente, per caso o anche forzatamente, persone che conosceva.
L’ambientazione è un po’ ambigua, nel senso che questa famosa città non viene mai nominata. Si deduce comunque che sia Stoccarda perché è quella de L’amico ritrovato, infatti a pagina 82 Elsas percorre Calwerstrasse ricordando che al numero venti c’era il palazzo degli Hohenfels.
I personaggi sono pochi. I vecchi compagni di scuola di Simon, tra cui spicca Fritz Haber che lo costringe ad una rimpatriata, nonostante il palese disagio da lui mostrato nel parlargli. Si pentirà di questa sua insistenza quando Elsas dirà (ancora una volta praticamente costretto dalle insistenze di tutti) quello che davvero pensa di questa riunione di vecchi compagni. Fa specie invece il militare, von Muntz, che ancora pensa che Hitler fosse nel giusto, e non esita a ribadirlo anche di fronte a Elsas. Poi c’è Charlotte, la ragazza che Elsas aveva amato in gioventù, di un amore mai più riprovato. Il suo personaggio mi è piaciuto molto. Quando Elsas la trova, i due neanche si riconoscono, lei lo tratta con estrema freddezza. Poi alla fine del libro Elsas riceve una lettera di lei, in cui gli rivela i suoi veri sentimenti, il dolore che quella visita le ha recato, per non essere riuscita neanche ad avere l’occasione di provare a farsi perdonare. Sue sono le parole che danno il titolo al romanzo, l’unica speranza che le rimane.
Infine, c’è il protagonista, che è palesemente una rappresentazione dell’autore stesso: entrambi erano avvocati, riconvertiti in pittori dopo la fuga (il personaggio in America, l’autore in Inghilterra).
La copertina della mia edizione mi piace molto. Rappresenta un uomo col cranio rasato (che personalmente mi fa pensare ad un prigioniero di un campo di concentramento), vestito di bianco, con un’espressione malinconica ma quasi annoiata. Il titolo anche è molto bello. Dalla prima volta che l’ho sentito mi chiedevo cosa significasse, e adesso che lo so devo dire che mi piace ancora di più. La frase viene detta nelle ultime pagine del libro (pp 89-90), di per sé non è particolarmente spoiler, ma preferisco comunque nasconderla: Ormai non ho più speranze, mi auguro soltanto che questa vita sia l’unica da vivere, indubitabilmente. Niente resurrezioni, per favore. D’inferni ne basta uno. (Charlotte)
Commento generale.
La trilogia del ritorno si conclude con un ritorno, penoso, ma forse necessario per non dimenticare. Se il primo si era concluso con una nota positiva, pur in tutto quel dolore, e il secondo era a mio parere completamente evitabile perché non portava nulla di nuovo, questo terzo è esaustivo e conclusivo, e non lascia spazio alla benché minima ombra di positività. Ma, onestamente, su certi argomenti non c’è nulla che si possa dire di positivo, anche chi l’ha scampata vive nell’Inferno. E probabilmente è giusto che sia così, è giusto che certi argomenti continuino a fare male anche a tanti anni di distanza.
A L’amico ritrovato solo legata per averlo letto la prima volta quando ero piccola, ma ragionando obiettivamente direi proprio che questo è il più bello della trilogia.
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