Titolo: Una stanza tutta per sé
Titolo originale: A Room of One’s Own
Genere: saggio
Autore: Adeline Virginia Stephen Woolf (Wikipedia)
Nazionalità: Regno Unito
Anno prima pubblicazione: 1929
Casa Editrice: Newton Compton (100 pagine 1000 lire)
Traduzione e prefazione: Maura Del Serra
Introduzione: Armanda Guiducci
Copertina: Edward Hopper, Room in Brooklyn, 1932
Pagine: 94
Link al libro: Wikipedia – IN LETTURA – ANOBII – GOODREADS
inizio lettura: 8 luglio 2014
fine lettura: 12 luglio 2014
Se ognuna di voi ha cinquecento sterline e una stanza tutta per sé; se abbiamo l’abitudine della libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; […] se guardiamo in faccia il fatto, perché è un fatto, che non c’è alcun braccio a cui appoggiarci, ma che camminiamo da sole e che dobbiamo essere in relazione col mondo della realtà e non solo col mondo degli uomini e delle donne, allora l’opportunità si presenterà.
(Pagina 94)
Ho comprato questo libro veramente molti anni fa, credo fosse uno dei più vecchi non letti presenti nella mia libreria. Una volta lo avevo iniziato, credo, ma evidentemente non era il momento. Poi un giorno finalmente l’ho ripreso in mano, dopo essermi ripromessa non so quante volte di leggerlo, e… praticamente non l’ho più messo giù.
Nell’ottobre 1928 Virginia Woolf tenne due conferenze, una alla Arts Society di Newnham e una alla ODTAA di Girton, due college femminili (gli unici due esistenti in Inghilterra all’epoca, credo). Il tema delle conferenze era Le donne e il romanzo. L’anno dopo Woolf raccolse queste conferenze in un unico testo, modificandolo e cambiando il titolo. Così nacque il “saggio romanzato” più famoso, citato e parafrasato della storia.
Questo libro non conta neanche cento pagine, eppure c’avrei tante, ma veramente tante cosa da dire in questo commento. Cercherò di limitarmi, ma temo mi uscirà fuori lo stesso uno di quei miei sproloqui infiniti. Mettetevi quindi comodi, munitevi di generi di conforto, e abbiate pazienza nel seguirmi, perché ne vale la pena. Non per la mia recensione, che lo so non dirò nulla di nuovo o particolarmente brillante, ma per Virginia, perché questo piccolo saggio è un piccolo grande capolavoro, nonché un testo importantissimo nella letteratura del Novecento.
Partiamo innanzi tutto con le conferenze: non sapevo che Una stanza tutta per sé derivasse da conferenze tenute dall’autrice. E il mio lato fangirl non può fare a meno di emozionarsi al pensiero di queste fortunate ragazze che hanno potuto ascoltare Virginia dal vivo! E pensare che invece lei stessa ci dice che le sue ascoltatrici erano poco rispettose nei suoi confronti!
Ma veniamo ad argomenti più consistenti, ovvero quello che era il tema di queste conferenze: le donne e il romanzo. Woolf ci parla di donne scrittrici e di donne personaggi di romanzo, ma anche di donne lettrici e di donne lavoratrici. Il fattore economico è presente fin dalle prime righe, perché, come dice a pagina 90: la libertà intellettuale dipende da cose materiali, e senza libertà intellettuale non si può scrivere. Così ecco l’estrema importanza delle 500 sterline l’anno, che possono permettere ad una donna di disporre del suo tempo e della sua vita. E’ un discorso che ho sentito molto mio, perché da poco ho iniziato a lavorare in maniera sempre precaria ma un po’ più costante e avere uno stipendio su cui poter contare (più o meno) ogni mese mi ha effettivamente cambiato la vita.
Raccontando la giornata di un’ipotetica Mary Beton* Virginia Woolf esplora la condizione della donna attraverso i secoli nella realtà e nella letteratura (principalmente in Inghilterra, ovviamente). Mi ha colpito molto un pensiero molto evidente a cui però non avevo fatto caso finché Virginia non me l’ha fatto notare: esiste, nelle varie epoche, una grandissima differenza tra le donne nella letteratura e quelle nella realtà. All’epoca di Shakespeare una donna era in pratica sempre di proprietà di un uomo: suo padre prima, il marito (scelto ovviamente dalla famiglia) dopo. Insomma, una vita di sottomissione, quasi fosse un capo di bestiame da cui ricavare denaro o vantaggi e, ovviamente, figli. Eppure le donne nelle opere di Shakespeare sono donne forti, piene di personalità, importanti, nel bene e nel male. Nella realtà venivano spesso malmenata.
Come spiegarsi questa discrepanza? Difficile trovare materiale di studio: delle donne vere quasi non si parla fino al Settecento. Così come delle donne scrittrici: sono non solo una rarità, ma qualcosa di “mostruoso”, di sconveniente, di assurdo. Finché arriviamo all’Ottocento, in cui esempi di donne scrittrici sono non solo presenti, ma notevoli: George Eliot, Charlotte Brontë, Emily Brontë e ovviamente Jane Austen. Su quest’ultima Woolf ha infinite parole di elogio, e già solo per questo ho apprezzato ancora di più questa lettura. Soprattutto è per il fatto che Woolf le analizza in quanto scrittrici donne, cercando di capire dalle loro opere cosa pensassero, come vedessero la loro condizione, come si rapportassero rispetto agli uomini in generale e agli uomini scrittori. Mi trovo molto d’accordo col suo giudizio su queste autrici (tranne George Eliot che non conosco ancora), anche se io non avevo mai pensato a indagare sul loro stile da un punto di vista di genere mi trovo comunque ad aver avuto giudizi simili sulle loro opere. In particolare comunque mi ha colpito un piccolo commento: queste quattro autrici sono incredibilmenbe diverse tra loro sia nella vita che nelle opere tranne che per una cosa: tranne il dato, probabilmente importante, che nessuna di loro ebbe figli (pagina 63).
Agli inizi del ‘900, quando Woolf tenne queste conferenze, la situazione era quindi un po’ cambiata: grazie a queste quattro famose scrittrici e alcune altre che le avevano precedute, l’idea che una donna potesse non sono scrivere, ma anche guadagnarsi da vivere in questo modo non era più così assurda e inaccettabile. E una forte scossa all’emancipazione femminile è arrivata, dice Virginia, grazie a due guerre (immagino la guerra di Crimea e la Grande Guerra). Un po’ triste, a pensarci bene, ma è una cosa che avevo notato anche guardando Downton Abbey: mentre gli uomini impegnati al fronte, qualcuno deve pur mandare avanti la baracca, e ci pensano le donne, che quindi assaporano un libertà e indipendenza (pur nelle sofferenze e privazioni della guerra) ed evidentemente non riescono più a rinunciarci.
E oggi?
Non so se si evince in generale dalle mie recensioni, ma quello della parità tra i sessi è un argomento a cui sono molto sensibile. Ho amato perciò moltissimo il punto di vista di Virginia Woolf sull’argomento, molto simile al mio. Lei parlava di tutto questo in rapporto alla letteratura, ma come lei stessa dice non è possibile pensare alla letteratura senza prima pensare al benessere: Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è cenato bene (pagina 33). Le due cose sono imprescindibili. per questo, parlando ad aspiranti scrittrici, non può non parlare di cose pratiche, delle 500 sterline l’anno, dell’esigenza di avere una stanza tutta per sé. E la letteratura diventa quindi il paragone, la scusa quasi mi verrebbe da dire per pensare invece alle donne vere, e anche alla sessualità dell’artista, che secondo Virginia, deve dimenticare le caratteristiche del suo sesso per poter esprimere appieno il suo genio:
Dobbiamo ritornare a Shakespeare, perché Shakespeare era androgino; così come lo erano Keats, Sterne, Cowper, Lamb e Coleridge. Shelley forse era asessuato. Milton e Ben Jonson avevano un pizzico di troppo di mascolinità. E anche Wordsworth e Tolstoj. Al tempo nostro, Proust era totalmente androgino, fors’anche un po’ troppo donna. (pagina 87)
Insomma, molte cose sono cambiate per noi donne, almeno in alcuni paesi del mondo, ma purtroppo ancora molto c’è da fare per cambiare davvero la mentalità. Perché molto spesso leggendo alcuni commenti, alcune storie presentate da Woolf, non potevo fare a meno di pensare quanto fossero ancora attuali:
«Femminista sfacciata! Dice che gli uomini sono degli snob!». Questa esclamazione è così sorprendete per me: la West era una femminista sfacciata perché faceva un’affermazione probabilmente vera, benché poco lusinghiera, sull’altro sesso? (pagina 44). Ancora oggi mi capita spessissimo di leggere commenti del genere su internet: perché il desiderare di essere poste sullo stesso piano degli uomini viene visto come un desiderio di prevaricare.
Fra cento anni, d’altronde, pensavo […], le donne non saranno più il sesso protetto. (pagina 47) Povera Virginia, eri un po’ troppo ottimista! Un secolo è ormai quasi passato, ma le donne ancora viste come il sesso debole, in tutti i sensi. Debole da proteggere, forse qualcuno lo pensa davvero (e io sono in disaccordo anche su questo, comunque), ma troppo spesso debole da sopraffare.
Un altro forse senso di attualità me l’ha dato questo brano:
Quasi senza eccezione le donne vengono presentate in rapporto agli uomini. Era strano pensare che tutte le grandi donne della letteratura erano state, fino ai tempi di Jane Austen, non solo viste dall’altro sesso, ma viste solo in relazione all’altro sesso. (pagina 74) Queste parole mi hanno ricordato il Bechdel test di cui avevo letto qualche tempo fa sul web. Il test prende il nome da un commento in un fumetto di Alison Bechdel ed è rivolto ai film: in pratica per superare il test un film deve avere 1) almeno due personaggi donne 2) che parlano tra loro 3) di qualcosa che non sia solo uomini. Vi parrà forse strano, ma sono veramente pochi i film che escono ogni anno che riescono a superare questo test. Se penso ai miei film preferiti, moltissimi non lo superano (QUI una valutazione in tal senso dei film degli ultimi due anni). Quindi, sono cambiati i media, ma il modo di vedere la donna con gli occhi e in funzione degli uomini non è cambiato poi molto (e, tra l’altro, ho letto sulla Wikipedia che probabilmente Bechdel si è ispirata proprio a Viginia Woolf in quel suo fumetto).
E basta, mi fermo qui. Potrei parlare ancora di tante altre cose, della cultura dello stupro, del fatto che essere una donna è spesso percepito come un insulto, del femminicidio, e tutto questo rimanendo in paesi come il nostro dove le donne se non altro sono tutelate, almeno in teoria, dalla legge. E non ho parlato nemmeno della famosa “sorella di Shakespeare”, e di tante altre situazioni e citazioni che Woolf fa in questo libro. Ma mi pare di aver anche sproloquiato abbastanza. Cambio allora argomento e dico due paroline sullo stile in cui è scritto questo saggio. E’ in parte romanzato: Woolf sceglie di raccontare in prima persona la giornata di una fanciulla per spiegare le ragioni di quello che dice, e lo fa ovviamente molto bene. Purtroppo ho letto ancora poco di questa autrice, quindi non posso fare un paragone pieno con le sue altre opere, posso però di sicuro dire che ho notato un paio di riferimenti a quello che finora è il suo romanzo che mi è piaciuto di più, ovvero Orlando. A pagina 31 di Una stanza tutta per sé, infatti, commenta: Il romanzo deve attenersi ai fatti, e quanto più veri sono i fatti, tanto migliore è il romanzo; così ci hanno detto. Quel “così ci hanno detto” fa capire che Woolf non è del tutto d’accordo con tale affermazione. Il commento di cui sopra era riferito al fatto che, poiché all’inizio aveva detto che la scena si svolgeva in autunno, doveva ora attenersi a quell’indicazione e descrivere un paesaggio autunnale. In Orlando (uscito proprio nel 1928) questa “preoccupazione” non l’aveva, visto che utilizza il tempo a proprio uso e consumo, senza preoccuparsi di seguirne il senso reale. E non ho potuto fare a meno di pensare sempre ad Orlando quando parla dell’androginia come requisito importante per poter fare poesia, visto che anche Orlando desiderava scrivere.
La copertina di questa mia edizione è quella tipica dei centopaginemillelire, che personalmente non mi dispiace, anche se, come dico sempre, ha l’immagine troppo piccola per poter essere annoverata tra le mie preferite. L’immagine in questo caso comunque è bellina, e abbastanza attinente, anche se non del tutto (io, banalmente, c’avrei messo una donna che scrive, come c’è per esempio nell’edizione dei Grandi Tascabili Economici sempre dello stesso editore). Sempre meglio comunque della copertina della nuova edizione nella collana LIVE sempre della Newton che è oscenamente rosa, e poi che c’entra lo specchio?
Il titolo è uno di quei casi in cui è talmente famoso che non riesco a decidermi se mi piace davvero o ci sono solo molto abituata. Credo comunque che sia bello davvero, un titolo che incuriosisce (sicuramente di più che “Le donne e il romanzo”!) e molto adatto al contenuto.
Commento generale.
Ho rimandato per anni la lettura di questo libro, forse preoccupata dal fatto che non fosse un romanzo, non saprei dire neanch’io di preciso perché. Ma forse ho fatto bene ad attendere, perché se l’avessi letto da adolescente probabilmente non avrei saputo coglierne l’estrema attualità, e anche perché evidentemente in questo periodo mi sono sentita proprio chiamata da questa lettura, e quindi ho potuto apprezzarla appieno.
Virginia Woolf ha fatto un regalo grande alle donne della sua epoca e anche a noi. E se mai arriverà un giorno in cui un testo del genere non sarà più attuale, non sarà più necessario, rimarrà comunque, sempre, una bellissima lettura.
Grazie a…
…Un tè con Jane Austen, la cui recensione mi ha fatto venire voglia di leggere questo libro.
Sfide
La sfida grammaticale 2014
Mini Recensioni 2014
Mount TBR Challenge 2014
2014 WOMEN CHALLENGE
Tour del Regno Unito
Mini recensione in 4 parole
Un po’ di frasi
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* nome presto da una vecchia ballata scozzese, “Mary Hamilton” o “The Fower Maries”, ovvero le Quattro Marie (le altre erano Mary Seton, Mary Carmichael e la Mary Hamilton del titolo. Tranne quest’ultima, anche le altre due vengono nominate nel saggio.
Bellissima recensione! Anche io ho amato tanto questo libro e, purtroppo, ce l’ho nell’odiosa edizione LIVE (tutto rosa, specchietto e merletti: cozza completamente col significato del saggio).
In ogni caso credo che il giorno in cui non ci sarà più bisogno di questo testo, perché obsoleto nei contenuti, sarà davvero un giorno vittorioso e non credo di esagerare con questa affermazione.
Sono pienamente d’accordo con te.
Grazie millle di essere passata, e del commento! :)