Probabilmente Oskar riferì gli avvenimenti della serata a Stern, perché ben presto si sparse la voce, all’amministrazione e nelle fabbriche, che c’era una lista Schindler. Valeva la pena affrontare qualunque cosa pur di esservi inclusi.
Sono veramente contenta che la Sfida a Tema di quest’anno mi abbia fornito la scusa per leggere questo libro! Mi incuriosiva da parecchio, avendo visto il film, ma non avevo il coraggio di approcciarlo visto che tratta di un tema purtroppo molto angosciante. Per fortuna si è rivelato invece di una piacevole lettura!
Oskar Schindler è un industriale ceco-tedesco che durante la Seconda Guerra Mondiale si trasferisce a Cracovia per rilevare una fabbrica di oggetti smaltati, fiutando un grande affare. Riuscirà in effetti ad arricchirsi, ma ben presto il suo scopo principale diverrà un altro: salvare quanti più ebrei possibile dallo sterminio. Lo farà proprio grazie alla sua fabbrica, alle sue ricchezze, e in parte anche al suo fascino.
Per la sfida a tema del mese di novembre è stato scelto l’Olocausto, un tema indubbiamente pesante ma che secondo me vale sempre la pena approfondire. Ero indecisa tra questo titolo e La baracca dei tristi piaceri, ma sono contenta di aver alla fine optato per Schindler e la sua lista, visto che, pur trattandosi come sempre di racconti terribili, è una storia piena di speranza e positività.
Purtroppo durante questa lettura Phil* ha avuto la sua prima défaillance: di punto in bianco mi ha cancellato tutte le note e le evidenziazioni che avevo fatto! Non ho idea del perché, non so se ho fatto qualcosa di sbagliato, fatto sta che alcuni appunti che avevo presto e molte frasi che avevo segnato non le ho più! Bè, comunque pazienza, mi pare di aver collezionato comunque un bel po’ di frasi, e di aver scritto un commento abbastanza lungo lo stesso, però indubbiamente ci sono rimasta male!
Ma bando alle ciance, qui si parla de La lista di Schindler. A suo tempo, quando uscì, vidi il film al cinema, quindi sapevo in linea di massima di cosa parlava, ma il libro racconta una storia molto più ampia e particolareggiata. La famigerata lista compare solo verso la fine, quando Oskar decide di spostare la fabbrica in Cecoslovacchia e portare i “suoi” ebrei con sé, e quindi inizia a stilare, appunto, una lista. Per tutto il resto del romanzo ci viene raccontata la storia della vita di Oskar, il suo impegno per salvare più ebrei possibile, ma anche singoli episodi riguardanti altre persone, ebrei e non. In particolare, per esempio, incontriamo un paio di volte la bambina col cappotto rosso, che ricordavo bene dal film perché era l’unica macchia di colore in un film girato in bianco e nero.
Le storie raccontate in questo romanzo sembrano a volte incredibili; se si trattasse di una fiction penso che avrei giudicate esagerate certe idee dell’autore, specie per quanto riguarda la facilità con cui la gente credeva a tutto quello che le veniva detto. Ma poi, a ben pensarci, mi rendo conto che tutto questo non è molto diverso da quello che accade al giorno d’oggi, che la gente si fa abbindolare con estrema facilità, specie quando le cose vanno male. Anche per questo è importante non dimenticare, parlare sempre e sempre di quello che è accaduto. Per essere ben coscienti del fatto che potrebbe accadere ancora, e in alcuni casi sta già accadendo.
Ma la cosa che forse mi ha stupito più di tutti è stato il comportamento di Amon Goeth, il direttore del campo di Płaszòw: al processo contro di lui chiamò come testimoni in suo favore Oskar Schindler e Helen Hirsch. Ok per il primo, posso anche capire che Goeth non si sia reso conto del disprezzo che Schindler provava per lui, ma la Hirsch era la sua cameriera ebrea, che lui picchiava e minacciava di morte in continuazione! Eppure lui era convinto che tra loro due ci fosse un rapporto speciale, che lei conservasse un buon ricordo del loro periodo insieme!
L’ambientazione di questo romanzo è quella strafamosa e a volte forse anche un po’ abusata della pagina più nera del Ventesimo secolo. Però, come ho detto all’inizio, questo romanzo racconta una storia di speranza, una storia di salvezza e di gratitudine.
Vorrei spendere due paroline anche sullo stile dell’autore. Devo dire che mi è piaciuto. Ha raccontato inserendo citazioni e punti di vista, lasciando intendere che pur avendo probabilmente romanzato qualcosa qua e là per la maggior parte si tratta di fatti realmente accaduti, frutto di diverse testimonianze riunite insieme. Infine ha anche saputo creare momenti di suspense che, non posso negarlo, a prescindere dal tema trattato rendono sempre la lettura più interessante! :)
Come ho detto rispetto al film (che comunque ricordo poco e dovrei proprio decidermi a rivedere) nel romanzo seguiamo le vicende di molti più personaggi, ma quello che spicca su tutti è sempre lui, Oskar Schindler. È un personaggio che sembra fatto apposta per diventare il protagonista di un romanzo: è affascinate, carismatico, intraprendente, geniale affarista, ricchissimo (genio, miliardario, playboy, filantropo… mi ricorda qualcuno!). All’inizio maschera bene il suo desiderio di salvare gli ebrei con la scusa del profitto, ma quando decide di spostare la fabbrica in Moravia diviene sempre più chiaro che il profitto non gli interessa più:
Nessuna speranza di produzione, nessun diagramma delle vendite nelle sue prospettive. Quattro anni prima era andato a Cracovia per arricchirsi, ma ormai aveva abbandonato tutte le ambizioni in campo industriale. […]
Una colossale follia sotto il profilo economico, che Oskar festeggiava esibendo un cappello tirolese.
In realtà, pure essendo come ho detto un personaggio degno di nota, Schindler non aveva veramente nulla dell’eroe né della classica “brava persona”, essendo un beone e un fedifrago. In una sua testimonianza la moglie fece notare che Oskar non aveva fatto niente di eccezionale, prima della guerra: era stato fortunato di aver incontrato, in quei pochi anni roventi che andavano dal 1939 al 1945, della gente che aveva portato alla luce le sue qualità nascoste. Quindi un uomo che non avrebbe lasciato nulla di sé – se non forse un ricordo neanche troppo positivo – se non si fosse ritrovato in mezzo a circostanze eccezionali, ed eccezionalmente brutte. Bè, è comunque molto più di quello che si può dire di tante persone. E inoltre non si può negare che, a prescindere dalle circostanze, quello che Schindler ha fatto è comunque qualcosa di eccezionale:
Nessuno si sarebbe sorpreso di scoprire, in un tempo successivo, che in nessun posto della martoriata Europa era mai successo niente di simile. Non c’era mai stata, e non ci sarebbe mai stata, un’altra liberazione da Auschwitz come quella.
Per quello che ha fatto per gli ebrei durante l’Olocausto a Schindler è stato insignito il titolo di “Persona Retta“, definizione che si basa sulla leggenda talmudica dell’Hasidei Ummot Haolam (i Giusti delle Nazioni), secondo cui ci sono solo trentasei Giusti tra i Gentili, in qualsiasi punto della storia del mondo. Schindler, negli anni dal ’39 al ’45, è stato uno di quelli.
Commento generale: un libro davvero molto bello, che vale la pena di leggere non solo perché non si fa mai abbastanza per ricordare una tragedia come questa, ma anche perché è davvero una bellissima lettura, che mi ha commosso un più occasioni, ma che soprattutto insegna ed aiuta ad avere ancora fiducia nell’umanità. Dov’è disperazione, ch’io porti la speranza diceva San Francesco. Schindler ha fatto pienamente sua questa preghiera. E pensare che non era nemmeno particolarmente credente.
Nel cuore dell’autunno polacco un giovane alto, con un costoso cappotto e uno smoking a doppio petto, sul cui risvolto spiccava una grande svastica d’oro su smalto nero, uscì da un palazzo signorile della via Straszewskiego, ai margini del centro storico di Cracovia. Vide subito il suo autista che lo aspettava, emettendo sbuffi di fiato condensato, presso la porta aperta di una enorme limousine Adler, che sfavillava nonostante il buio in cui era immersa.
[incipit]
Gli uomini come Stern possedevano, ovviamente, un dono ancestrale per fiutare un Gentile giusto, che si poteva usare come cuscinetto o come parziale rifugio contro le crudeltà degli altri. Una specie di sesto senso per scoprire dove poteva esserci una casa sicura, un potenziale asilo. E da quel momento in avanti la possibilità che Herr Schindler si trasformasse in un rifugio avrebbe colorato la loro conversazione, proprio come avrebbe fatto una impalpabile promessa sessuale scambiata quasi
impercettibilmente fra un uomo e una donna a un ricevimento. Si era creata un’atmosfera di cui era più consapevole Stern di quanto non lo fosse Schindler; e non sarebbe stato pronunciato niente di esplicito, per timore di guastare quel fragile rapporto.
Ma anche se la vita di prigione comporta un’enorme capacità di diffondere e di prestar fede alle dicerie, non sarebbero mai riuscite a immaginare quante persone potevano essere uccise col gas in un giorno, quando il sistema funzionava bene. Stando alle affermazioni di Höss, si poteva arrivare fino a novemila unità.
Ma a Stern e agli altri apparve subito chiaro che Frau Schindler non restava lì, in quel piccolo appartamento del piano terra, solo per dovere coniugale. C’era da parte sua anche una specie di impegno ideologico. Su un muro della casa era appesa un’immagine di Gesù Cristo, con il cuore in vista avvolto dalle fiamme. Stern aveva visto quella stessa raffigurazione nelle case dei cattolici polacchi. Ma non c’era stato niente del genere nei due appartamenti che Oskar aveva occupato a Cracovia. Il Cristo con il cuore esposto non sempre era un elemento rassicurante quando lo si vedeva nelle cucine polacche. Ma nell’appartamento di Emilie aveva tutta l’aria di una promessa, di un impegno personale della donna.
Dopo alcuni anni una di quelle donne avrebbe cercato di spiegare i suoi sentimenti di quel momento a una troupe televisiva tedesca. «[Schindler] Era nostro padre, nostra madre, la nostra sola fede. Non ci ha mai abbandonato.»
Ma il gioielliere Wulkan, vedendo Chaja nel cortile della fabbrica, si accorse con enorme stupore che veramente esistevano individui in grado di offrire un’incredibile salvezza.
I vecchi amici di baldorie di Oskar, fra i quali Amon e Bosch, talvolta pensavano a lui come a una vittima di un virus ebreo. Fuori di ogni metafora, attribuivano alla definizione un significato letterale e non davano nessuna colpa al contagiato. Avevano constatato che era successo ad altre brave persone. Una certa zona del cervello veniva soggiogata da qualcosa che era per metà un batterio e per metà una magia. Alla domanda se fosse una malattia contagiosa avrebbero risposto: Sì, molto. Il caso dell’Oberleutenant Sussmuth poteva essere considerato un caso di lampante contagio.
[Sussmuth è un ingegnere che aiutò molto Oskar a ralizzare il campo in Moravia e a portarvi dentro ebrei salvati da Auschwitz]
Ma l’unica cosa che avevano a portata di mano per fare un regalo era del vile metallo. Fu il signor Jereth a suggerire una fonte a cui attingere qualcosa di meglio. Aprì la bocca per mostrare i suoi ponti d’oro. Se non fosse stato per Oskar, disse, le SS se li sarebbero presi comunque. I miei denti sarebbero finiti in un mucchio, in qualche magazzino delle SS, insieme con quelli di tanti estranei di Lublino, Łòdz e Lwòw.
Era un’offerta appropriata e Jereth insisté perché fosse accettata. Si fece tirar via i ponti da un prigioniero che un tempo aveva fatto l’odontotecnico a Cracovia. Licht fece fondere il metallo per farne un anello e a mezzogiorno dell’8 maggio vi incideva all’interno un’iscrizione in ebraico, un versetto talmudico che Stern aveva citato a Oskar nell’ufficio di Buchheister, l’ottobre del 1939: «Chi salva una vita salva il mondo intero».
Oskar pronunciava un discorso in difesa dei suoi compatrioti che tutti i prigionieri sopravvissuti a quella notte avrebbero sentito ripetere mille volte in un prossimo futuro. Comunque, se c’era una persona che si era guadagnato il diritto di pronunciare quella difesa e di sentirsi ascoltare perlomeno con tolleranza, quella persona era indubbiamente Herr Oskar Schindler.
Finiti i saluti, Oskar esibì le sue referenze in ebraico. Il rabbino le lesse e incominciò a piangere.
Pfefferberg aveva dovuto puntare una pistola alla testa di un soldato che era penetrato negli alloggi delle donne e aveva afferrato la signora Krumholz. (Per anni la signora avrebbe rimproverato Pfefferberg, puntandogli contro un dito accusatore: «Questo furfante mi ha tolto l’unica possibilità che avevo di fuggire con un uomo giovane!»)
Per qualche ragione – forse perché il polacco si comportò con molta umanità nell’interrogatorio che seguì, o forse per la familiarità del linguaggio – Reubinski crollò, si mise a piangere e raccontò tutta la storia nella sua lingua. Furono convocati uno per uno tutti gli altri, messi a confronto con Reubinski e informati che aveva confessato. Poi furono invitati a riferire la loro versione della verità in polacco. Quando, alla fine della mattinata, si scoprì che tutte le versioni collimavano perfettamente, tutti i componenti del gruppo, compresi gli Schindler, furono radunati nella stanza degli interrogatori e abbracciati da entrambi gli inquisitori. Il francese, riferisce Reubinski, piangeva.
[…]
Quando, quella sera, Oskar si sedette a pranzo con Emilie, Reubinski, i Rechen e gli altri, dovette constatare che le sue proprietà erano passate alla Russia, i suoi ultimi gioielli e denaro erano andati perduti nei meandri della burocrazia dei liberatori. Era senza un soldo, ma pranzava in maniera eccellente in un buon albergo, con parte della sua «famiglia». Su quel modello sarebbe stato improntato tutto il suo futuro.
Era l’anno del processo ad Adolf Eichmann e la visita di Oskar in Israele sollevò un certo interesse nella stampa internazionale. La vigilia del processo, il corrispondente del londinese Daily Mail scrisse un articolo sul contrasto tra le storie dei due uomini e citò il preambolo di un ricorso che gli Schindlerjuden avevano fatto a favore di Oskar. «Noi non dimentichiamo i dolori dell’Egitto, noi non dimentichiamo Haman, noi non dimentichiamo Hitler. In mezzo ai reprobi, noi non ci dimentichiamo dei giusti. Ricordatevi di Oskar Schindler.»
Passò un altro mese prima che il corpo di Oskar, in una bara rivestita di piombo, fosse condotto attraverso le strade super-affollate della Città Vecchia fino al cimitero cattolico, che si affaccia a sud sulla valle di Hinnom, chiamata Gehenna nel Nuovo Testamento. Nelle foto del corteo funebre apparse sui giornali si riconoscono – in mezzo a una marea di altri Schindlerjuden – Itzhak Stern, Moshe Bejski, Helen Hirsch, Jakob Sternberg, Juda Dresner.
Lo piansero in tutti i continenti.
* Per chi si fosse perso il post, Phil è il nome del mio Kindle.
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