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È colpa mia, lo so. La lezione è stata di una noia mortale e invece di ascoltare la professoressa, mi sono ritrovata a pensare. A tutto e a niente. All’universo, al mondo, e alla mia insignificante esistenza. È colpa mia. È inutile che mi crogiolo nel vittimismo del “nessuno mi ama, nessuno mi capisce”. Sono io che non sono capace di relazionarmi con gli altri. È a questo che penso mentre esco dall’edificio. Che mattinata infinita! Per fortuna è finita. Andiamo a casa, va. Intraprendo il faticoso cammino che mi porterà fino all’autobus, senza soste per mangiare o per bere. Non pretendo mai nulla in una relazione (di qualsiasi tipo), probabilmente perché io non sono capace di dare nulla. Mi aspetto poco dalle amicizie, non perché non mi fido della gente, anzi. È solo che io stessa non so essere una buona amica. Ma non finisce più quest’università? Che palle questi coi volantini! Non so come si fa ad essere amici… Nessuno me l’ha mai spiegato. E così non riesco a rapportarmi agli altri. E ‘sta cazzo di borsa che mi fa sempre rimanere incastrata dentro ‘sti cazzo di.. cosi! Ma perché entrare e uscire dall’università ti costringe a gimkane che neanche quelle delle Dietorelle ci passerebbero? E così se un giorno mi troverò sola e senza amici, sarà soltanto colpa mia. E purtroppo ci si mette anche il mio distorto senso di nostalgia, che agisce sempre a posteriori: mi accorgo di quanto una persona (o una cosa, o un luogo) mi è mancata, solo quando la rivedo. Altrimenti potrei farne benissimo a meno anche per sempre. È triste, è molto triste. Oh, l’autobus, che culo! Parte subito! È pieno, ma pazienza, tanto fra un po’ scendo. A che pensavo? Era qualcosa di triste… ah, sì, la nostalgia bastarda. E non posso farci niente. Almeno credo. Sono sempre stata convinta che non si può fare violenza ai propri sentimenti. Uff, come non detto, “scendo fra un po’” è stata una pia illusione, co’ ‘sto traffico dell’ora di punta. Che poi quando mai qui non è ora di punta? Alle 2 di notte, forse. Sono stanca, voglio andare a casa! E mi sento così triste… No, non triste, per la verità. Mi sento più… come potrei dire… a disagio. Sì, non riesco a esprimere in nessun altro modo quello che provo in questo… Oho! Ma come cavolo guida questo? Già è faticoso reggersi a ‘sti cosi, se almeno evita di fare ‘ste frenate! Non sono mai riuscita ad analizzare a fondo questa sensazione. Mi prende a tratti, senza preavviso, indipendentemente dal luogo in cui mi trovo, o dalle persone che mi circondano. A volte penso che forse mi sento solo banalmente inadeguata. Le solite cose. Sono “diversa”. Solo che se diversa significasse solo un po’ eccentrica, a me andrebbe anche bene. Ma che è la mia fermata? Oh sì, è proprio lei. Scendo di corsa, evviva, sono fuori. Ora devo solo aspettare l’altro autobus. Una volta mi piaceva sentirmi diversa. Mi credevo — ma me ne rendo conto solo ora — un po’ superiore. E sebbene l’emarginazione un po’ mi pesasse, e spesso e volentieri cercassi il conformismo e l’amalgamazione, sotto sotto mi sentivo orgogliosa della mia “originalità”. E all’orizzonte ancora non vedo nessun autobus, l’attesa si preannuncia lunghetta. Ora non è più così. Ora non è più piacevole se “diversa” vuol dire solo più stupida, o più meschina, o più egoista. Ed ecco che torno al punto di partenza, sto lasciandomi prendere dall’autocommiserazione. Oddio, sogno o son desta? Non ci posso credere, è proprio l’inconfondibile sagoma azzurra del 731 quella che sta voltando adesso l’angolo!! Gioia e tripudio!!!!! Ma allora Dio c’è! Alzo la manina per farlo fermare, salgo, questo inaspettato colpo di fortuna mi fa un po’ dimenticare i pensieri tristi di poco prima. Vado verso il fondo, è quasi vuoto. Appena mi siedo, però, ricomincio a pensare. Alla spesa che devo fare, alle pagine da studiare, a tutti i doveri che mi aspettano prima che arrivi sera. Quasi quasi erano meglio le pippe mentali da “hovogliaditagliarmilevene” di poco fa. Sbuffo impercettibilmente, abbandonandomi esausta sul sedile. Lo sguardo mi vaga sulle scritte di cui è piena la carrozzeria di quest’angolo di autobus. Mi soffermo su una, a caratteri grandi, in stampatello: “LA VITA È UNA PALLA”. Quanto hai ragione!

E così, inaspettatamente, quasi a tradimento, quest’imprevista identità di vedute con lo sconosciuto graffitaro, mi fa sorridere.

 

 

 

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