Nati due volte

di Giuseppe Pontiggia

Ancora una recensione di un libro letto tempo fa.
Un libro bellissimo. È il racconto in prima persona di un padre e del suo rapporto con il figlio disabile. Ve lo consiglio caldamente, è scritto davvero bene, e si fa leggere con estrema facilità, mi ha preso fin dalla prima pagina!
Non mi dilungo nel raccontare ulteriormente la trama, fatta tra l’altro di episodi. Riperterò invece qualche brano che mi ha particolarmente colpito (ce n’erano molti di più, per la verità, però alcuni erano troppo inseriti nel racconto per riportarli senza spiegare tutto quello che c’era prima).
Soprattutto mi sono piaciute le considerazioni del narratore (che poi suppongo esprimesse il pensiero dell’autore) che spesso se la prendeva con delle categorie di persone, o dei “tipi”, oppure sull’“umanità” in generale.

Mi guardava con un viso bonario e sorridente, maschera della saggezza che molti assumono avvicinandosi alla vecchiaia e invece è l’ultima, definitiva, eterna forma della stupidità.

Ma in mezzo sta la virtù, dice Orazio, non la verità. Altrimenti sarebbe risolto il problema. La verità, per quanto riguarda gli uomini, è sempre diversa.

È sterminato il numero di cose che gli uomini sopportano, mentre negano di poterlo fare.

È sempre bene, se volgiamo la solidarietà, inserire voci passive nei nostri bilanci. Gli altri ce ne sono grati. E sappiamo che mai ci vogliono così bene come quando non stiamo bene.

Non so se lui avesse capito quello che gli dicevo. Spesso gli altri capiscono solo che siamo turbati e che vogliamo aiutarli. E ci restituiscono ciò di cui abbiamo bisogno, il loro aiuto.
E danno non solo un aiuto, ma ciò di cui gli uomini hanno più bisogno quando non la sentono mai, la simpatia.

Si potrebbe aggiungere, con una illazione, che uno scrittore è chi è perennemente sensibile alle disgrazie del lessico, anche se non ne viene coinvolto.

Quarantatré anni di scuola gli hanno insegnato che nel rispetto della disciplina c’è una parola superflua che è disciplina. Rispetto basterebbe.

La scuola vera è fatta di eccezioni, rare come i professori che si rimpiangono.

Da giovani chiediamo a Dio tutto e subito, perché Dio è giovane come noi. Poi invecchiamo e anche Dio diventa più lento.

Ancora oggi [la preghiera] mi mette in contatto con una voce che risponde. Non so quale sia. Ma è più durevole e fonda di chi la nega. Tante volte l’ho negata anch’io, per riscoprirla nei momenti più difficili. E non era un’eco.
[…]
Mi accontenterò (mai verbo più malinconico e più lucido) di un ultimo appuntamento con la voce. Quanto tutto mi mancherà, lei non mi mancherà.


Infine, ecco il brano che spiega il titolo del libro:

« Voi dovete vivere giorno per giorno, non dovete pensare ossessivamente al futuro. Sarà una esperienza durissima, eppure non la deprecherete. Ne uscirete migliorati.
« Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso sarà tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita. Questa almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro. »
Grazie, a distanza di trent’anni.

3 pensieri riguardo “Nati due volte

  1. “Niente. Chi è normale? Nessuno.
    Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico.
    Si usano, nel linguaggio orale, i segni di quello scritto: “I normali, tra virgolette”. Oppure:” I cosiddetti normali”.

    La normalità – sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità – rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si raffaccia ancora più temibile alla finestra. Si finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. Non è negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l’immagine della norma.

    Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde “razza umana”, non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera.
    E’ questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza.”

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