Il senso di Smilla per la neve

di Peter Høeg

Titolo: Il senso di Smilla per la neve
Titolo originale: Frøken Smillas Fornemmelse for Sne
Autore: Peter Høeg
Nazione: Danimarca
Anno prima pubblicazione: 1992
Ambientazione: Danimarca e Groenlandia
Casa Editrice: Mondadori DeAgostini
Traduzione: Bruno Berni
Link al libro: ANOBII


«Smilla. Com’è possibile che una ragazza carina e minuta come te abbia una voce così rude?»
«Mi dispiace» dico «di dare l’impressione di essere rude solo con la bocca. Mi sforzo quanto posso di esserlo in tutto.»

[primo commento scritto molto tempo dopo la prima lettura, postato il 5 febbraio 2007]

C’è un freddo straordinario, 18 gradi Celsius sotto zero, e nevica, e nella lingua che non è più mia la neve è qanik, grossi cristalli quasi senza peso che cadono in grande quantità e coprono la terra con uno strato di bianco gelo polverizzato.
[incipit]

Questa è Smilla che parla in prima persona, all’inizio del romanzo.

Lei “sente” la neve, come dice il titolo, la “capisce”. E la neve le dice che la morte di un bambino suo vicino di casa non è stata un incidente, come tutti sembrano pensare. Comincia così questo giallo un po’ atipico, che mi è piaciuto davvero davvero molto. Soprattutto ho adorato le ambientazioni, tra la Danimarca e la Groenlandia, freddo, neve e ghiaccio, ma ancor di più ho adorato il personaggio di Smilla e le sue considerazioni, in cui spesso mi sono ritrovata.

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A distanza di tempo grazie al Great Random Challenge ho riletto questo libro e ne sono stata molto contenta. Sono stata molto indecisa se abbassare o no un pochino la votazione, da 4 stelle passare a 3*. In realtà sarebbero 3 e mezzo: 4 piene non me la sentivo di dargliele perché a tratti rileggendolo l’ho trovato lento e soprattutto un po’ confusionario, però mi è piaciuto davvero molto, 3 stelle mi parevano poche. La prima votazione con 4 stelle l’avevo data molto tempo dopo la lettura, quando ricordavo solo la bellissima impressione che il libro mi aveva dato. Impressione che confermo pienamente. Quindi… lasciamo 4 stelle, va!

Adoro Smilla sempre più, la adoro perché è sola, fredda, forte e quasi insensibile, ma anche passionale, fragile e ferita. E’ umana, e sotto alcuni aspetti (forse i peggiori!) mi somiglia moltissimo. E poi la adoro perché è proprio un bel personaggio, ben costruito, approfondito e sfaccettato, diviso tra due mondi senza appartenere veramente a nessuno dei due. Poi può anche risultare antipatica (a me no!!), però come personaggio la trovo veramente affascinante!

Il segnalibro che ho usato per questo libro è stato realizzato da Thot appositamente per il Great Random Challenge.

Non ricordavo il finale così enigmatico, senza una precisa fine, come dice la stessa Smilla: Racconta, verranno a dirmi. Così capiremo e chiuderemo il caso. Si sbagliano. Solo ciò che non capiamo può avere una conclusione. Non ci sarà nessuna conclusione.

Deduco da queste parole che lei ha capito. E’ tornata qanik, la neve dell’inizio, quella che accompagna il funerale di Esajas. Era questo, in fondo, no?, che Smilla desiderava: capire perché.

Comunque, anche se le sorti di Tørk, del meccanico e della stessa Smilla non vengono chiarite, pure il finale m’è piaciuto. E’ stato questo a farmi definitivamente optare per la riconferma delle 4 stelline, perché ho potuto amare e leggere con emozione questo libro fino all’ultimo rigo.

L’ex-libris è opera di Ombraluce.

Sfide

Un po’ di frasi

I fiocchi sono come piccole piume, e la neve è così, non necessariamente fredda. Ciò che avviene in questo istante è che il cielo piange su Esajas, e le lacrime si trasformano in piume di ghiaccio che si posano su di lui. E’ l’universo che in questo modo gli stende sopra una trapunta affinché lui non debba mai più avere freddo.

Per me la solitudine è come per altri la benedizione della chiesa. E’ la luce della grazia. Non chiudo mai la porta alle mie spalle senza la coscienza di compiere un gesto misericordioso nei miei confronti. Cantor illustrava ai suoi allievi il concetto di infinito raccontando che c’era una volta un uomo che possedeva un albergo con un numero di stanze infinito, e l’albergo era al completo. Poi arrivò un altro ospite. L’albergatore spostò allora l’ospite della stanza numero uno nella numero due, quello della numero due nella tre, quella della tre nella quattro, e via di seguito. Così la stanza numero uno rimase libera per il nuovo ospite.
Ciò che mi piace di questa storia è che tutti coloro che vi sono coinvolti, gli ospiti e l’albergatore, considerano normalissimo compiere un numero infinito di operazioni perché un ospite possa trovare pace in una stanza tutta sua. E’ un grande omaggio alla solitudine.

E’ solo una piccola domanda. Ma il mondo si dà sempre un gran daffare per sapere come mai una donna nubile e indifesa della mia età non ha un marito e un paio di incantevoli marmocchi. Così col tempo si sviluppa un’allergia alla domanda.

Forse già allora avevo cominciato a desiderare di capire il ghiaccio. Voler capire significa provare a riconquistare qualcosa che abbiamo perso.

Quando accade per la prima volta è come scoprire di essere svegli mentre tutti gli altri dormono. Solitudine e onnipotenza in parti uguali.
[…]
Forse è sbagliato ricordare le svolte della nostra esistenza come se avvenissero in singoli, unici istanti. Forse l’innamoramento, la penetrante coscienza che anche noi un giorno dovremo morire, l’amore per la neve, in realtà non sono avvenimenti improvvisi, forse sono sempre presenti. Forse non scompaiono mai.

I coltelli che ho in casa sono abbastanza affilati da aprire le lettere. Tagliare una fetta di pane è quasi al limite delle loro possibilità. Io non ho bisogno d’altro. Nelle brutte giornate mi capita spesso di pensare che ci si può sempre mettere in bagno davanti allo specchio e tagliarsi la gola. In tali occasioni è bello avere l’ulteriore sicurezza di dover andare prima dal vicino a farsi prestare un coltello decente.

Ci sono donne che sanno fare il soufflé. Che casualmente hanno una ricetta del parfait al caffè infilata nel reggiseno sportivo. Che sono capaci di farsi da sole la torta nuziale con una mano e preparare una bistecca Nossi Bé al pepe con l’altra.
Dobbiamo esserne tutti contenti. Purché non voglia dire che noialtre dobbiamo sentirci in colpa se non siamo ancora arrivate a darci del tu con il tostapane elettrico.

Il sistema numerico è come la vita umana. Per cominciare ci sono i numeri naturali. Sono quelli interi e positivi. I numeri del bambino. Ma la coscienza umana si espande. Il bambino scopre il desiderio, e sai qual è l’espressione matematica del desiderio? […] Sono i numeri negativi. Quelli con cui si dà forma all’impressione che manchi qualcosa. Ma la coscienza si espande ancora, e cresce, e il bambino scopre gli spazi intermedi. Fra le pietre, fra le parti di muschio sulle pietre, fra le persone. E fra i numeri. Sai questo a cosa porta? Alle frazioni. I numeri interi più le frazioni danno i numeri razionali. Ma la coscienza non si ferma lì. Vuole superare la ragione. Aggiunge un’operazione assurda come la radice quadrata. E ottiene i numeri irrazionali. […] E’ una sorta di follia. Perché i numeri irrazionali sono infiniti. Non possono essere scritti. Spingono la coscienza all’infinito. E addizionando i numeri irrazionali ai numeri razionali si ottengono i numeri reali. […] Non finisce. Non finisce mai. Perché ora, su due piedi, espandiamo i numeri reali con quelli immaginari, radici quadrate dei numeri negativi. Sono numeri che non possiamo figurarci, numeri che la coscienza normale non può comprendere. E quando aggiungiamo i numeri immaginari ai numeri reali abbiamo i sistemi numerici complessi. Il primo sistema numerico all’interno del quale è possibile dare una spiegazione soddisfacente della formazione dei cristalli di ghiaccio. E’ come un grande paesaggio aperto. Gli orizzonti. Ci si avvicina a essi e loro continuano a spostarsi. E’ la Groenlandia, ciò di cui non posso fare a meno! E’ per questo che non voglio essere rinchiusa.

Qualunque popolazione si lasci valutare su una scala di valori stabilita dalla scienza europea è destinata ad apparire una cultura di primati.
Dare dei voti non ha senso. Ogni tentativo di comparare le culture allo scopo di determinare quale sia la più sviluppata non sarà mai altro che un’ulteriore, merdosa proiezione dell’odio che la cultura occidentale ha nei confronti delle proprie ombre.

Scoprire il proprio compito. Forse è questo ciò che Esajas mi ha dato. Che ogni bambino può dare. La sensazione che ci sia uno scopo.

Ciò che complica la vita sono le possibilità di scelta. Chi ha qualcuno ch sceglie per lui, ha la vita facile.

Non si può vincere contro il ghiaccio.

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* Mi riferivo ovviamente al vecchio sistema di valutazione di aNobii a quattro stelline.

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